Social Media Marketing

Gli utenti di Facebook condividono meno contenuti, ecco le ragioni

Ad oggi, lo scandalo di Cambridge Analytica su Facebook sembra più che trapassato. La paura di vedere i propri dati offerti al miglior offerente e per scopi poco chiari, non spaventa più nessuno. Non spaventa gli investitori, il dato in borsa è tornato ai livelli precedenti lo scandalo, anche con qualche punto in più, non spaventa gli inserzionisti che non hanno mai smesso di utilizzare il canale, dato che in Italia in taluni casi il benessere aziendale e totalmente affidato al canale, e non spaventa neanche l’utente.

L’utente, appunto, il punto cardine di Facebook, non ha mutato le proprie abitudini e, anche se con uno scetticismo iniziale, ha ripreso con costanza il “lavoro” quotidiano di pubblicazione ed interazione. Onestamente questo non mi sorprende e non mi spaventa.

Facebook non è un canale che può conoscere desertificazione in modo così repentino, perché il canale è forte ed ogni errore commesso non può solo che far bene al canale, rafforzandolo.

Il fatto di disporre di tutta la forza lavoro necessaria per individuare le falle, porre rimedio e successivamente rinnovare ed innovare, rendendo il canale più simile ad i nuovi competitor, rende Facebook molto potente, dalle fondamenta molto solide. Tassi di abbandono di massa, da qui a breve, non potranno appartenere al canale perché divenuto uno strumento essenziale di comunicazione nella quotidianità, un media a tutti gli effetti.

Certo bisogna essere anche un po’ selettivi e cercare di non ragionare in modo universale. Facebook ha sicuramente al suo interno utenti consapevoli ed utenti inconsapevoli, o meglio utenti avanzati ed il classico “utente medio”.

L’utente avanzato di fronte a grandi scandali aggrotta la fronte e sicuramente mostrerà scetticismo verso il canale, agendo a tutela della propria privacy adoperando forme di protezione dei dati più restrittive, mentre l’utente medio probabilmente non percepisce il reale rischio connesso a questa fuga di dati, perché parzialmente informato.

C’è un dato di fatto alla base: tutti siamo a conoscenza di offrire dati personali a Facebook. Può questo diventare motivo di una minor partecipazione al canale? A quanto pare sì, ed una ricerca di Thomas Reuters ce lo conferma.

Il primo motivo che spinge l’utente americano a pubblicare meno contenuti sul canale, ad oggi, è per ragioni legate alla questione privacy (47%). A questo dato si aggiungono nuove e più importanti motivazioni legate alla qualità dell’informazione offerta e soprattutto legate all’imparzialità delle informazioni presentate.

Il 27% degli utenti ha notato che i News Feed è schierato e di parte, e talune volte contiene anche informazioni distorte. Questo spinge l’utente ad allontanarsi sempre più dal canale e diluire i messaggi, soprattutto legati a temi delicati, come posizioni politiche, per evitare di esser oggetto di classificazioni, forzando azioni di pubblicazione meno naturali ed applicando filtri alle proprie opinioni.

Ad oggi sappiamo che Facebook utilizza dei filtri semantici (manuali?) sui testi, principalmente sulle pagine, per tutelare la qualità del contenuto, ma non si è certi che questi filtri poi vengano utilizzati su qualsiasi contenuto (positivo, negativo e neutrale), anche testuale, per creare classificazioni di utenti specifiche a cui indirizzare specifici messaggi. Facebook non lascia trapelare molto dai suoi sistemi, e forse il dubbio ha spinto gli utenti a rallentare ed esser meno trasparenti.

Cosa può causare questo? Ovviamente la presenza di meno informazioni, o di informazioni non precise e poco realistiche, può portare sicuramente a sporcare i dati e ad influenzare anche il successo di determinate campagne di advertising. In questo contesto l’utente ha in mano un’arma potentissima: e se tutti gli utenti cominciassero ad offrire informazioni sempre meno precise e sempre più vaghe? Beh, forse sarà quello il momento in cui ragionare sul futuro del canale.

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