[SEO] Per favore, smettiamola di parlare di AuthorRank
[Questa è la versione italiana del post che ho pubblicato su State of Search: Please Stop Talking Abount Author Rank
Il mese scorso ebbi il piacere di fare una presentazione all’ultima edizione dell’ISS di Londra e di partecipare all’SMX.
Nel corso di questi ultimi anni ho partecipato a molte conferenze, ma questo era il mio primo SMX, un vero e proprio classico tra i congressi SEO e che quest’autunno debutterà anche in Italia.
Posso dire che fu un’esperienza piacevole sotto tutti gli aspetti, ma…
Sì, purtroppo c’è un “ma” ed è anche piuttosto grande.
Tra gli interventi previsti ce n’era uno dedicato al rapporto tra SEO e Content, e io ero al 100% sicuro che si sarebbe parlato di Authorship e AuthorRank, due temi che mi appassionano particolarmente (e il mio speech per l’ISS in parte parlava li trattava).
Sfortunatamente gli speaker delusero le mie attese. Perché? Perché tutti parlarono di AuthorRank come se fosse qualcosa che già è attivo, quando in realtà non lo è.
Sono sicuro che anche loro siano coscienti di questo piccolo dettaglio, ciononostante – ed è qualcosa che noto quando, per esempio, modero il Q&A di Moz (prima SEOmoz) – ci sono moltissimi SEO, che sono convinti che l’Authorship, da solo sia già un grande fattore di ranking.
È questo equivoco, a volte addirittura alimentato da “esperti SEO”, che mi manda letteralmente in bestia.
Mettiamo, quindi, subito le cose in chiaro:
L’AuthorRank (ancora) non è un fattore di ranking!
L’AuthorRank – ne sono convinto – sarà una delle logiche che Google userà per restituire autorità al Link Graph nel futuro. Futuro, però che adesso come adesso non è possibile prevedere quando sarà.
Questo significa pure che la famose frase di Eric Schmidt, tratta dal suo libro, e che tutti citano – Within search results, information tied to verified online profiles will be ranked higher than content without such verification, which will result in most users naturally clicking on the top (verified) results. The true cost of remaining anonymous, then, might be irrelevance. – non deve essere inteso come la confessione di qualcosa che già adesso avviene, ma piuttosto come un obiettivo, che Google potrebbe avere per il futuro.
Di più, quella frase normalmente è citata fuori dal suo contesto originale, in cui Schmidt parla di governi, politica e privacy (a nessuno viene in mente Prism?), come giustamente indicò in Danny Sullivan in un suo post in Search Engine Land.
Indice dei contenuti
Quali sono le cause di questa frenesia attorno all’AuthorRank?
Come molti di voi forse già sanno, due anni fa Google lanciò l’Authorship Program, con cui ogni autore può legare la sua produzione editoriale online (posts, articoli, guide…) al suo profilo Google Plus e, così, avere l’opportunità di essere premiato con la sua foto nello snippet di quei contenuti nei motori di ricerca, oltre ad altri benefici.
Un paio di mesi dopo Google aggiornò una vecchia patente, quella dell’Agent Rank, in cui si descrive come sarebbe possibile utilizzare gli autori, identificati grazie ai loro profili online, e la loro autorità e rilevanza in relazione a un tema per migliorare la qualità dei risultati di ricerca.
Nello stesso periodo, poi, Google acquistò due società come Social Grapple e PostRank.
Alla fine, qualche mese dopo il suo lancio, ogni marketer con un poco di sale in testa aveva ormai capito che Google Plus piuttosto che un social network tradizionale era – ed è – un sistema di acquisizione di profili.
Era ovvio, perciò, che i SEO (me incluso) incominciassero a tirare le somme di tutti questi eventi e… boom! L’AuthorRank fu inventato.
Ma cos’è esattamente l’AuthorRank?
Nessuno l’ha saputo definire meglio di AJ Kohn:
AuthorRank significa che la tua reputazione come creatore di contenuti sarà capace di influenzare i risultati di ricerca. Non solo quello, ma l’AuthorRank potrà essere usato per rendere più preciso il Link Graph.
L’AuthorRank combina il web delle Persone con il web dei Links per creare un qualcosa di migliore basato sull’autorità che le persone stesse assegnano a un autore, qualcosa che sarà utilizzato per il posizionamento dei risultati di ricerca.
Sfortunatamente, però, ci sono molte persone che non sono sagge come AJ Kohn, che è sempre ha messo in chiaro come l’AuthorRank sia una “possibilità” per l’ecosistema del Google Search, e non una realtà.
Però, perché l’AuthorRank non è ancora un fattore di posizionamento? La risposta è piuttosto semplice: l’Authorship Program è qualcosa che la gran maggioranza dei proprietari di siti web non conoscono, e l’Authorship sembra essere un fattore essenziale per l’AuthorRank, perché è quell’elemento che unisce i contenuti ai loro creatori.
L’accoglienza del rel=”author” da parte dei webmasters è ancora al di sotto del 10%, pur se quella percentuale sta crescendo. E anche se Google ormai sta assegnando automaticamente l’authorship anche a documenti come PDF, Doc, Xls e altri ancora in cui incontri la cosiddetta “by line” (“document by Tizio Caio”), tuttavia le connessioni tra autori e loro contenuti sono ancora troppo poche per giustificare un’eventuale impatto nelle SERP.
Lo so, probabilmente alcuni di voi starete ricordando ciò che Matt Cutts ha detto in suo video di circa un mese fa sulle cose che impatteranno la SEO nel prossimo futuro.
In quel video, Matt Cutts disse che Google stava pensando di premiare con un piccolo boost nei ranking quei siti/autori, che sono universalmente riconosciuti come autorità nelle loro nicchie, o – facendo un esempio – come cercherà di presentare meglio nei risultati di ricerca cose che Danny Sullivan possa aver detto in un commento a un post di un altro sito a proposito di SEO, perché quello che egli possa dire sulla SEO è sicuramente più rilevante per gli utenti che quello che possa dire un “cippalippa” qualsiasi.
Sì, anch’io ricordo quelle dichiarazioni.
Però, secondo me, è molto più probabile che Matt Cutts facesse riferimento alla migliorata capacità che ha adesso Google di capire la topicità di un documento e di combinarla con gli ormai classici fattori del Link e Social Graph, invece che sottintendere all’avvento dell’AuthorRank.
Dovremmo, dunque, dimenticarci completamente dell’AuthorRank?
No. Semplicemente non dovremmo farcene ossessionare e dovremmo incominciare a porlo dentro a un contesto più amplio, in cui Entity Recognition, Knowledge Base, Social e Link Graph a la personalizzazione dei risultati di ricerca stanno sinergicamente configurando il Google del futuro (prossimo).
E dovremmo mettere in pratica (se già non l’abbiamo fatto) quelle che sono considerate le best practices dell’AuthorRank. Perché? Perché esse hanno già per se stesse una correlazione con rankings migliori o con un migliore CTR nelle SERP, e non perché siano, appunto, le best practices dell’AuthorRank.
Prendiamo per esempio l’Authorship. Come ho scritto prima il rel=”author” non è usato molto a parte la nostra stessa nicchia, quindi implementarlo nei siti dei nostri clienti, soprattutto se eCommerce, sicuramente può offrirci un vantaggio competitivo.
Se hai un blog aziendale o, soprattutto nell’area B2B e in nicchie “serie” come la legale o l’industria, una sezione di notizie, è piuttosto facile avere i tuoi posts/articoli distaccandosi nelle SERP grazie all’effetto dell’Authorship.
Perché, pur esiste una certa controversia, esistono studi che indicano chiaramente che le persone sono istintivamente attratte dai volti umani.
E ricordiamoci che Google, come visto in precedenza, assegna l’Authorship anche a documenti come i PDF (pensate ai cataloghi o alle guide), perciò ottimizzate anche quelli con l’uso della by line.
Uno dei vantaggi dell’Authorship, poi, è anche che gli utenti possono cliccare sul nome dell’autore nelle SERP, e vedere quali altri contenuti egli possa aver scritto riguardo a quell’argomento per cui loro hanno appena realizzato una ricerca.
Oppure, gli utenti possono cliccare sul numero di persone che hanno cerchiato l’autore (o sulla sua foto) e, così, atterrare nella sua pagina in Google Plus e lì incominciare a creare una relazione con lui.
Inoltre, legati all’Authorship sono tutti gli Author Stats, che troviamo in Google Webmaster Tools, e che sono estremamente utili per capire la performance dei nostri contenuti. Per esempio, guardano all’immagine qui sotto, quella domanda alla quale ho risposto nel Q&A di Moz ha un CTR davvero ottimo, addirittura maggiore a quello di tutti i miei posts. Tra l’altro è un commento, per cui Google già assegna l’authorship a una pagina di tipo Q&A se il doppio collegamento rel=”author”/profilo Google Plus è attivo.
L’uso di Google Plus è sicuramente consigliato tra le best practices dell’AuthorRank, ma esiste un motivo ancora più pratico per usarlo meglio e di più: passa PageRank, come ha spiegato bene Mark Traphaghen all’SMX Advanced di Seattle pochi giorni fa.
Ricordatevi, però, che Google Plus non finisce nel nostro profilo, ma è anche Communities, le quali sono un ottimo luogo in cui creare quelle occasioni di Relationship Marketing, che sono adesso essenziali per un sano link building.
Offrire poi agli utenti del nostro sito la possibilità di loggarsi in esso usando il loro profilo Google Plus, e implementare il sistema di commenti di Google Plus nel sito, entrambe sarebbero due cose da fare sin da ora.
Per concludere, AuthorRank gira tutto intorno alla creazione di contenuti rilevanti, che siano posts, articoli, guide, commenti intelligenti, etc. etc.. Contenuti che non necessariamente devono tutti risiedere nel nostro sito.
Questo conduce a capire il perché del valore di un guest blogging davvero di valore (non quello “finto” che prospera, ahimè, in Italia e all’estero) e, inoltre, perché sarebbe opportuno recuperare il meglio di quello che una volta si definiva come “comment marketing”.
Contenuti rilevanti che ci permetteranno di creare – ed ecco che il tema si presenta nuovamente – relazioni con altri autori rilevanti e autorevoli nella nostra nicchia.
Nella teoria dell’AuthorRank, tutte queste connessioni aiutano ad aumentare il grado di AuthorRank di un autore, perciò aiutano i suoi contenuti a diventare ancor più rilevanti per Google.
Ma, se ci pensiamo bene, tutto questo non sono cose che già diciamo di fare per ottenere links naturali e un miglior Eco Sociale?
Questo ci porta a dire che pur se l’AuthorRank non è ancora un fattore di ranking, quello che in realtà conta, e che in realtà sì può portare dei vantaggi anche a livello di posizionamento, è la sua filosofia.
Quindi, per favore, smettetela di filosofare (e male) sull’AuthorRank, e pensate invece a mettere in pratica quello che suggerisce di fare.
Ciao a tutti e complimenti per il vostro blog.
Gestisco un e-commerce di abbigliamento multi brand con blog integrato e da qualche mese abbiamo integrato il rel=”author” per l’attribuzione dei contenuti.
A dire il vero ho ancora qualche dubbio sul corretto utilizzo di questo tag ed in particolare se è il caso di limitarlo solo per gli articoli del nostro blog o lasciarlo attivo per tutto il resto del sito (scheda prodotto, riepilogo prodotto ecc…).
Secondo voi è’ opportuno utilizzare il rel=”author” solo per il blog e il rel=publisher per il resto del sito?
Grazie
Ciao Nico,
stando alle linee guida di Google, il rel author va utilizzato soltanto sulla parte editoriale di un sito web, quindi il blog. Mentre per i prodotti potresti utilizzare i product rich snippets e per la home page il rel publisher.
CIao Dario,
ti ringrazio per la risposta.
Utilizziamo già diversi formati di markup tra cui quello relativo ai prodotti, alle recensioni e alle attività commerciali, il dubbio era solo se utilizzare il rel=”author” su tutto il sito o solo sulla parte editoriale.
Ti ringrazio ancora per il tuo consiglio.
Ciao Danilo Pontone,
magari ti risponderà anche Gianluca Fiorelli. Per quello che mi riguarda posso dirti che ogni sito, b2c o b2b blog personale o multiautore DEVE utilizzare il rel=”author” per l’attribuzione del contenuto, se ovviamente ha senso, perché c’è un corporate blog interno o esterno al sito aziendale. Google dice chiaramente che ciò che deve essere mostrato in serp è la foto reale di un autore reale e non un logo di un brand; peraltro i profili aziendale, come in fb, sono vietati, solo che G+ non ti dà neanche la possibilità di crearli.
Chiaramente nei siti dei clienti non dovrebbe fuoriuscire il logo dell’azienda, bensì dell’autore (interno o esterno all’azienda) che aggiorna i contenuti, con la sua foto reale. Per la promozione dell’azienda Google mette a disposizione il rel=”publisher” che comporta il collegamento del sito web alla pagina Google+ e permette di far comparire un box di knowledge graph sulla destra per le ricerche connesse al brandname. Spero di essere stato utile 🙂
Ciao Gianluca, Dario e Maria, insomma tutti 🙂
Mi piacciono un sacco i post smentita e falsi miti!
Però volevo mettere i puntini sulle i, su qualcosa che viene detto in questo articolo e che forse potrebbe distogliere dal senso della funzione di Google. Si parla di suggerire l’implementazione del Google Authorship Markup nei siti dei clienti anche nel b2b e nei blog aziendali. Questo dunque presuppone il venir meno del valore di un contenuto scritto da un singolo autore (persona fisica) per favorire l’uscita di un logo brand (azienda)?
Sarebbe bene precisare questa cosa per evitare di cominciare a trovarci nelle serp non più volti umani ma loghi aziendali. Sono sicuro che in tanti stanno facendo questo ragionamento, ossia spingere il proprio logo brand sfruttando questa opportunitá delle serp. Anche nel b2b o nei blog aziendali multi autore, l’ideale è implementare il rel=”author” per ogni singolo autore/blogger e non sopperire a questa cosa con la generica soluzione del logo brand. Anche perchè poi ad ogni autore deve corrispondere un profilo google plus, e non un profilo aziendale.
Insomma discorso un po’ ingarbugliato ma che sono sicuro voi avete capito. Perfarla breve, il rel=”author” ha un senso per le persone non per i brand.
Ci tengo a fare questa precisazione perché più di una persona mi ha posto questa questione. Poi per carità magari scopro che voi o altri la pensano diversamente ed in tal caso mi farebbe molto piacere sapere la vostra opinione in merito 🙂
Ottimo articolo! Sai illuminarmi sul fattore author rank del mio sito? Fino a febbraio appariva la mia fotina nei risultati di ricerca, poi improvvisamente, senza che abbia fatto alcunché, é sparita e da allora non é piu tornata. Eppure con il test tool di google dei snippet é tutto corretto 🙁 trov i il mio sito nel mio profilo 🙂
Tra tutti gli articoli che ho letto sull’argomento non ne ho ancora trovato uno che rifletta su un aspetto della questione che a me pare centrale. Come cambiano le routine di lavoro consolidate con l’introduzione del Rank Autore?
Mi spiego, io lavoro in una web agency come copywriter e mi trovo a scrivere contenuti di vario genere sui temi più diversi (dal turismo all’architettura biosostenibile) e allo stesso tempo il mio profilo G+ è personale e lo uso per condividere i miei contenuti (che spaziano dal giornalismo culturale all’editoria digitale).
Se è vero, e non ho motivo di dubitarne, che l’Author Rank premia l’autore in base alla sua autorevolezza all’interno di una determinata nicchia tematica come può chi lavora in una realtà come la mia integrare questo fattore per andare, in futuro, a incidere sul proprio posizionamento?
Non mi pare sia una domanda banale perché presuppone il ripensamento di un’organizzazione del lavoro ben consolidata. In soldoni mi pare difficile che un piccola o media web agency come quella in cui lavoro si dedichi a uno scouting dei web writer più influenti per ogni nicchia di mercato in cui operano i suoi clienti.
Siete d’accordo?
Bella domanda..in linea teorica ogni autore dovrebbe essere esperto della propria nicchia. Faccio un esempio banale ogni imprenditore/autore dovrebbe essere il creatore e curatore dei propri contenuti e delle relazioni con gli utenti e influenti della propria nicchia.
Chiaramente e per ovvie ragioni, questo non è possibile, anche se sono convinto che noi consulenti dovremmo cercare di convincere il cliente, o chi per lui a curare la sua expertize. Noi ad esempio per un nostro cliente, abbiamo individuato dei writers specializzati nella produzione di articoli in quella specifica area (perché lo facevano anche per mestiere) e dopo un periodo di formazione li abbiamo avviati.
Se neanche questo fosse possibile il consiglio che mi sentirei di darti è quello di focalizzarti su una o due tematiche in cui ti senti più preparato/portato e sviluppare la tua author authority per quelle nicchie. Farlo per tutte credo sarebbe impossibile per ogni essere umano 🙂
Sono d’accordo con te quando dici che il ruolo del consulente è quello di aiutare il cliente a curare la propria nicchia di esperienza.
Per come la vedo io la direzione che Google sta cercando di dare al web marketing è quella di trasformare ogni soggetto in un media e in questo scenario le agenzie dovranno funzionare sempre più come centri di formazione e facilitatori.
Per quanto mi riguarda io curo il mio personal brand, è ovvio. Però il problema, come lavoratori dipendenti e team ce lo siamo posto. Al momento abbiamo deciso di non usare il rank autore perché abbiamo troppa diversità di contenuti che produciamo in proprio per poter creare forza e valore con quel fattore.
In futuro però il problema si porrà, specialmente se questo Rank crescerà ancora.
Secondo me è presto per parlare di un’incidenza dell’authorship sul ranking, ma i social signals contano già, si tratta di capire come interpretarli
I segnali sociali contano, però come correlazione piuttosto che causa.
È questione di numeri, sostanzialmente (anche se conta, e molto la qualità).
Quanto più alto è il numero di shares sociali di un contenuto, tanto più probabile che questo contenuto generi links, dai semplici links da siti aggregatori di social status (es.: Topsy) a link editoriali veri e propri.
Quindi, in questo caso, il social graph genera un effetto su link graph, e il link graph conforma i rankings.
Ma i sociali sociali hanno anche un altro effetto. Quanto più un contenuto è condiviso, tanto più quel contenuto è citato (non linkato) in documenti online (posts, articoli, commenti, reviews…) in associazione con un lexicon di parole e concetti. In questi casi scatta il fenomeno co-occurrences, per cui Google associa a un’entità (il nostro sito, il nostro prodotto o il nostro nome) a quel lexicon, per cui potremmo arrivare a rankare per le queries relazione, appunto, a quel lexicon.
In questo caso il social graph influenza l’Entity Recognition di Google, che a sua volta conforma – anch’esso – i rankings.
Correlazione, non causa.