SEO

Posizionare un sito web con i contenuti [un case history reale]

Sono stato relatore all’ultimo Convegno Nazionale sul Search Marketing (Convegno GT) dove ho portato un caso di studio SEO di posizionamento naturale sfruttando semplicemente tre fattori:

  • una buona keyword search ed ottimizzazione on-page;
  • la presenza di writers specializzati nella materia;
  • la costruzione di contenuti di qualità ed utilità: principalmente articoli informativi e infografiche.

A distanza di qualche mese ho deciso di condividere qualche dato interessante per evidenziare un aspetto: se un contenuto diventa virale e riesce ad acquisire una serie di link in entrata, anche di qualità, il profilo link e il relativo ranking ne beneficia nel tempo.

Il sito in questione è un blog informativo che nasce da zero un annetto fa, come supporto allo shop online di un e-commerce di prodotti erboristici. Il blog ha voluto mantenere un’identità propria, sconnessa dallo shop, con l’intenzione di sviluppare il brand ed ambire a diventare uno dei punti di riferimento in Italia per la divulgazione di articoli su benessere e benefici dei rimedi naturali sia per la donna che per l’uomo.

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Immagine tratta dall’infografica “Sesso e Cibo: istruzioni per l’uso”

1. La keyword Search e la scelta dei Copywriters

Il primo step è stato quello di effettuare, come andrebbe fatto per ogni progetto SEO (e più in generale per ogni progetto di web marketing) un’analisi di mercato che ha identificato competitors, opportunità e tipologie di query informative digitate dagli utenti e loro volumi e in base alla raccolta di queste informazioni, è stata prodotta una lista di sub-topics e argomenti che il cliente doveva impegnarsi a sviluppare, seguendo una chiave primaria di ricerca individuata, quella dei “rimedi naturali.
L’azienda in questione aveva già internamente buone conoscenze SEO e sono così stati in grado di iniziare a ottimizzare il sito costruendo una buona architettura informativa che dalla home si trasferisse fino alla pagina prodotto.

La scelta dei copywriters, chi da formare alla scrittura sul web, chi già formato, ma che fossero già esperti della materia (i copywriters in questione erano farmacisti e/o naturopati) ha permesso di avviare l’attività editoriale di sviluppo degli articoli seguendo le indicazioni circa tematiche e keywords consigliate al cliente.

2. La nutrizione del sito e del link profile: dagli articoli di qualità ai guest post di qualità

Gli articoli sviluppati vengono revisionati dal cliente che ne esamina sia eventuali duplicazioni esterne, sia la qualità, veridicità e originalità di quanto viene prodotto. Gli articoli non sono mai brevi testi promozionali ma solo mini-guide di almeno 700 parole con consigli per la cura di particolari patologie utilizzando i rimedi naturali.

Iniziamo anche ad occuparci di relazioni con i blogger per condividere articoli prodotti esclusivamente per i loro blog, sempre dagli stessi copywriter esperti.
Penso che il guest posting fatto per questo cliente sia stato eseguito nel migliore dei modi in quanto:

  • nelle mail di contatto, ai blogger/publisher viene segnalato un articolo di approfondimento già sviluppato sul blog del cliente, in modo da testarne la qualità;
  • viene proposto un argomento ancora assente dal piano editoriale del loro blog;
  • qualche blog ha richiesto un compenso per la pubblicazione del post, anche sapendo che l’articolo fosse di qualità e non un publi-redazionale e sapendo che l’articolo avrebbe giovato più a loro che al cliente, ma abbiamo deciso di evitare ogni richiesta di pagamento per un link o pubblicazione dell’articolo;
  • il link è stato inserito alcune volte in firma all’articolo ma il più delle volte all’interno del corpo del post e linkava pagine contestuali di argomenti correlati già sviluppati sul sito del cliente.
  • Unica cosa che mancava, per il guest posting perfetto, era la presenza della Google Authorship sul profilo autore del cliente. Ma il più delle volte i siti contattati non l’avevano attivato neanche per loro.

nutrizione

Il traffico organico inizia così a crescere in modo regolare e senza picchi improvvisi e innaturali. Il link profile del sito inizia ad essere nutrito sia con link da guest post che da link spontanei acquisiti da altri blogger che linkano specifici articoli pubblicati.

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3. Le infografiche

Sulla produzione e distribuzione delle infografiche è avvenuta la cosa più interessante e che ha poi reso questo caso di studio un caso di successo. Siamo sempre stati convinti del potere del Content Marketing in tutto il web marketing (non solo per la seo ma anche nei social, nell’email marketing, nel mondo offline, ecc.)

La domanda è: coma impatta un contenuto virale a livello di posizionamento organico?

Dal nostro caso di studio, la risposta è questa: ottimamente!

Andiamo per punti.
Considerando che ogni nicchia del web può interfacciarsi con altre nicchie verticali con cui creare relazioni per le quali produrre contenuti, la prima delle due infografiche ha voluto targetizzare i food blogger. E’ stata quindi realizzata la prima infografica sui benefici del cioccolato che trovate a questo link e che ha avuto un buon numero di ripubblicazioni, link in entrata e condivisioni sociali.

La realizzazione della seconda infografica “Sesso e Cibo: istruzioni per l’uso” è quella che realmente ha fatto il botto. La tematica sesso e cibo, suggerita dal cliente, sapevamo potesse riscuotere del successo, soprattutto nei social. Chiaramente se si cerca in rete, si trova già una serie di infografiche a tema “sesso” che non ha avuto molto successo.

Ciò che ha garantito la spinta virale all’infografica è stato il mix informativo dato dal contenuto che presentava delle vignette che raffiguravano Gerardo e Jessica (gli omini) alla prese con la sperimentazione delle principali posizioni sessuali, unito al dato informativo (tratto distintivo di ogni infografica e data visualization content) delle calorie bruciate e il loro equivalente in termini di paragone al consumo di un determinato alimento.
Una cosa che ho scoperto in questi giorni, leggendo uno studio che abbiamo ripreso nel nostro ultimo post, è che le infografiche di successo, oltre a presentare dati ed informazioni statistiche e sotto forma di grafici, hanno illustrazioni che raffigurano elementi umani (gli omini) ed oggetti utilizzati nella vita reale, utili a richiamare l’attenzione dell’utente.

C’è da dire però, che la scelta dell’argomento è nata anche dal sapere che tra i prodotti più venduti nello shop onlne ci fossero proprio integratori utili al miglioramento della vita sessuale di coppia.

L’infografica è stata distribuita ad alcuni link-target (ovvero blog e siti che potrebbero essere interessati a pubblicarla) ma soltanto due di loro hanno deciso di pubblicare l’infografica.
La cosa inaspettata avviene però nei social, Facebook in modo particolare che ha permesso all’infografica di rimbalzare di share in share e da utente a utente a ritmi vertiginosi. Il tastierino del like di Facebook aumentava a ritmo di cento condivisioni ogni due o tre minuti e dopo 6 ore dalla pubblicazione c’erano già 15 mila visualizzazioni di pagina a cui se ne sono aggiunte altre 70 mila solo il giorno seguente.

Aggiungo anche che il vero “innesco” alla viralità, è stata la thumbnail della pagina che attirava immediatamente l’attenzione, spingeva al click e al successivo share.

Come fare a capire se un link acquisito da un contenuto è realmente “white-hat”?

Quale metrica migliore del traffico referente da quel link?
La cosa che accadeva è che grazie allo share di Facebook, la pagina dell’infografica è finita (inevitabilmente) all’attenzione di blog e testate giornalistiche che hanno deciso di riprenderla e pubblicarla sui loro siti.

Fin qui nulla di nuovo, ma i siti che la pubblicavano realizzavano a loro volta dei post virali e i link di attribuzione presenti sui loro siti si trasformavano in migliaia di accessi referenti diretti al sito del cliente.
Questo per farvi capire che chi visionava l’infografica su un sito “ospitante” era poi incuriosito al punto da voler conoscere l’azienda che l’aveva realizzata.

Se prendiamo ad esempio il sito maggior refferer, sologossip.it, anche il suo post ha generato, a sua volta, migliaia di condivisioni su Facebook.

A distanza di sei mesi dalla sua pubblicazione, ecco un po’ di risultati:

  • circa una sessantina di pubblicazioni dell’infografica su blog e siti web (alcune delle quali, senza link ma con sola menzione. Altre senza alcuna menzione e link).
  • i link acquisiti non avevano ancore commerciali. Veniva linkato il brand, o, per via dell’embed code, parole come “sesso e cibo” e “fare sesso brucia calorie?” che non considererei ancore commerciali in quanto non portano traffico organico. Eppure, come vedremo tra poco, il ranking complessivo del sito ne ha beneficiato
  • gli share nei social network: oltre 57 mila condivisioni su Facebook, 700 +1’s e 311 tweets
  • link di qualità acquisiti da siti solitamente inarrivabili, come Panorama.it
  • è finita anche nella pagina di Asganaway di RadioDeejay ed è stata anche commentata nella stessa radio nella sezione dei contenuti presi dalla rete.
  • ad oggi la pagina ha raggiunto quasi 700 mila visualizzazioni

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risultati

Infine, il sito viaggia oggi nell’ordine di alcune migliaia di accessi giornalieri provenienti dall’organico, che considerando la natura del sito (sito di nicchia e con un solo anno di vita alle spalle), sono anche tanti. Segno sia del fatto che una continuità nella pubblicazioni di articoli di qualità permetta di aumentare le risorse indicizzabili e che rispondono a query di tipo long tail, ma anche del fatto che quei mattoncini (links) acquisiti spontaneamente hanno irrobustito il profilo link del sito.

Conclusioni.

Cosa ho imparato, come seo, da questo caso di studio.

  1. Nonostante i tanti allarmismi da parte di Google, fare SEO è ancora oggi possibile e i contenuti, uniti alla perfetta costruzione di un sito, sua architettura informativa e ottimizzazione interna, sono gli strumenti migliori per farli.
  2. Se possiedi un’audience sociale e hai già attive relazioni con la blogosfera è ancora meglio, perché al giorno d’oggi, i siti che piacciono (e piaceranno sempre più) a Google sono quelli che saranno in grado di costruire un brand.
  3. Prima o poi i contenuti satureranno il mercato. Questo spingerà a doversi differenziare sempre più e proporre/realizzare qualcosa di ancora più originale mai visto prima (o fatto in modo nuovi).
  4. I link fanno ancora (e lo faranno ancora per molto) il loro sporco lavoro. Se a casa Google ci stanno dando ultimamente dentro con avvisi e penalizzazioni di siti, blog e network è perché sanno di non avere attualmente a disposizione altri strumenti per determinare la qualità di un sito, migliori del “voto” espresso dal link.
  5. Link genera link. I contenuti hanno il duplice vantaggio di acquisire link nel breve periodo che vanno a migliorare i ranking generali del sito oltre che migliorare la brand identity del marchio collegato e permettendo poi di ricevere maggior attenzione e nuovi link in entrata anche agli articoli che saranno pubblicati in futuro, perché ripresi da altri siti/blog.
  6. Il SEO dovrebbe lavorare sempre più a stretto contatto con i reparti creativi dell’agenzia nel riuscire a realizzare contenuti che “rimbalzino” letteralmente nelle piattaforme sociali. Se l’azienda/agenzia riesce a creare contenuti virali con lo scopo di acquisire links in entrata si beccano due piccioni con una sola fava (brand awareness e link earning).

PER LE AZIENDE: se siete interessati ad approfondire ed implementare un percorso di crescita di visibilità come quello appena letto, contattateci qui.

Professionista SEO, da sedici anni, progetta strategie digitali orientate allo sviluppo di visibilità online. Come SEO ha lavorato in prima persona a differenti progetti complessi in settori ad elevata competizione, costruendo da zero progetti da oltre 20 mila visitatori giornalieri.

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8 risposte a “Posizionare un sito web con i contenuti [un case history reale]”

  1. Marco Panichi ha detto:

    Articolo molto interessante, utile e GENEROSO. Grazie veramente tanto di aver condiviso questo caso reale (e soprattutto il processo retrostante)!

    Ho però una domanda “indecente” e ossia: il cliente avrebbe ottenuto gli stessi risultati (visibilità > traffico > vendite) anche senza la fase di scrittura delle mini-guide?

    Articoli da 700 parole non sono proprio uno scherzo, soprattutto quando unisci l’impegno della scrittura a quello della formazione di chi scrive. Mi chiedo allora se fosse stato possibile ridimensionare questa fase senza intaccare il risultato finale.

    Forse posso rispondermi da solo dicendo che Si, sarebbe stato possibile avendo avuto una sfera di cristallo per prevedere il futuro. E allora la domanda diventa: ponderare il tipo di contenuto in fase di progettazione della strategia, secondo te, è doveroso, vincolante e limita l’azione oppure la sperimentazione rimane sempre uno step necessario?

    • Dario Ciracì ha detto:

      Ciao Marco,
      grazie per il commento. Diciamo che gli articoli devono secondo me rappresentare l’80% della strategia di Content Marketing, anche perché, a dirla tutta, sono quelli che permettono di acquisire links costanti nel lungo periodo. Proprio perché quando altri blog cercano fonti di ispirazione, le trovano da ricerche su Google e finiscono in questi articoli che, essendo di qualità (rispondono a specifiche esigenze di ricerca degli utenti, sono degli “how to”) ed essendo ben strutturati e lunghi, si posizionano piuttosto bene.

      Le infografiche o altre azioni di content devono rappresentare la parte più piccola della strategia, perché comunque la complessità di realizzazione richiede un impegno più elevato e non è garantito che si trasformino in casi di successo.

      Ovviamente, per essere completi, ogni azienda dovrebbe sviluppare anche tutta la parte relazionale, quindi curando la gestione dei social e le relazioni con i blog del settore.

  2. florin88 ha detto:

    Molto, ma molto interessante questo post…. Complimenti per il lavoro e anche per questa guida

  3. I contenuti. Finalmente.

  4. Paolo Verdiani ha detto:

    Ciao Dario,

    bel post e ottima case history, vorrei farti una domanda in proposito che va un pò al di la della viralità e del contenuto di questo articolo ma che trovo interessante in quanto riguarda da vicino un progetto che mi appresto a valutare.

    Ho dato un’occhiata sia al sito in questione che a quello dove c’è l’e-commerce, mi stavo chiedendo in proposito il perchè di questa scelta di aprire un blog informativo slegato dal dominio principale invece di una sezione apposita sul dominio stesso magari con un classico /blog sotto la stessa estensione.

    E’ stata una scelta dettata da qualche motivo pratico in particolare oppure dal puro gusto “estetico” e di comunicazione?

    Altra cosa che vorrei chiederti riguardo alla categorizzazione, anche se questa è forse un pò troppo superficiale a dirla così: il sito in questione, essendo una nicchia abbastanza particolare ha 3 categorie principali, ma nel caso di siti che necessitano di una categorizzazione più ampia può avere un “peso” in termini SEO inserire la stessa categoria anche nell’URL?

    Ho sempre pensato il contrario, ovvero che più la kw è vicina alla radice del sito più la stessa diventa forte, mi sono dovuto però un pò ricredere su siti con tante categorie e dove la competizione è parecchio agguerrita, ad esempio i classici siti di cucina, dove ho notato che avere delle URL Dominio/categoria/keyword ha portato più benefici rispetto a Dominio/keyword, magari sarà stato un caso ma ultimamente ho notato il verificarsi di questa cosa, che ne pensi?

    Grazie.

    Paolo

    • Dario Ciracì ha detto:

      Ciao Paolo.
      Al Convegno GT mi soffermai anche sulla motivazione della scelta di sviluppare il sito informativo su un nuovo dominio anziché come sotto-cartella dello shop. Come seo siamo convinti che se fosse stata fatta la scelta di averlo come sotto-cartella, tutte le azioni di content fatte, gli shares e i links acquisiti avrebbero portato vantaggio ai ranking dello shop.

      Lato “branding” il cliente invece era convinto di voler sviluppare il sito secondo una propria vita e identità e con lo scopo di essere solo una risorsa informativa. Poi intervengono anche altre motivazioni per cui potremmo chiederci se, effettivamente, gli utenti e i blog avrebbero condiviso le azioni di content sapendo che provenivano da un’azienda con uno shop online.

      Rispondendo invece alla tua seconda domanda, ti direi che dipende. Sicuramente la keyword nella url ha la sua (piccola) efficacia nel ranking. Ma considera che anche avere url non troppo lunghe e che si collegano direttamente alla pagina prodotto con la key del prodotto, può dare vantaggio più diretto ai ranking long tail delle pagine prodotto. Diciamo che è una questione di scelta o altre volte è lasciata al caso.

      Amazon (per portarti un caso virtuoso) ha ad esempio non usa categorie nelle url dei prodotti. L’alternativa migliore è a mio avviso quella di non usarle nelle url dei prodotti ma mantenere il tema del sito utilizzando piuttosto i breadcrumbs.

      • Paolo Verdiani ha detto:

        Ciao Dario,

        grazie per la tempestiva risposta, in effetti anche secondo me il fatto di avere il blog come sotto-cartella può fare solo del bene al sito principale, anche perchè alla fine se il blog è slegato “praticamente” dal sito principale a tutti gli effetti, “visivamente” però, avendo lo stesso nome dello shop agli utenti che devono poi condividere non risulta difficile fare un rapido collegamento mentale.

        Riguardo alle keyword e le categorie nelle URL, come ti dicevo prima, solo ultimamente mi sono posto il problema, a cose normali e senza questo riscontro avrei continuato come sempre.

        Paolo

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