Social Media Marketing

Linee guida per la compravendita responsabile del Social Media Marketing

Devo ammetterlo, la decisione di scrivere questo post non è stata facile. Non è stata facile perché dovevo decidere di tirar fuori le cose brutte che vedo nel mercato italiano quando si parla di social media marketing, le cose che spesso non funzionano e non fanno funzionare questo approccio di business meritevole di chances e il più delle volte non lo fanno vendere per una serie di percezioni errate diffuse nelle menti di chi tali servizi (?), strategie, approcci, consulenze, pacchetti (ohohoh cavolo se è vero che c’è chi vende “pacchetti di social media marketing”, basta cercare su Google) dovrebbe acquistarli, spesso come conseguenza di chi tali servizi/strategie/approcci, ecc. dovrebbe comunicarli per poi venderli.

Non farò nomi di clienti attuali e potenziali che mi hanno espresso perplessità, scetticismo e pretese che vanno al di là di quello che il social media marketing può e dovrebbe fare, ma cercherò di elencare quelle più comuni che sono capitate a noi, ma sicuramente anche a molti di voi.

CLIENTE: “se investo x quanto ottengo dopo y mesi?”

Questa è probabilmente la prima (e più diffusa) percezione sbagliata che si ha del social media marketing. Il fatto di omologare questo approccio a uno “strumento di pubblicità” e volerne a tutti i costi misurarne le vendite. Come fare a misurare le vendite dal social media marketing? C’è qualche analista che sa dirmelo? No perché io seguo nel web Avinash Kaushik l’Analytics Evangelist di Google che, per quanto si sforzi di incrociare i dati prodotti dai social in termini di engagement con quelli prodotti da Google Analytics in termini di conversioni resta sempre con delle incognite ancora irrisolvibili, questo un estratto di un suo post che mi è sembrato esemplare

They come. They read. They do nothing with you on Facebook. This does not mean they’re visiting your page, or just reading the content was valueless. They might have been impressed, they might buy your products. We just don’t know. They are the classic unknown unknowns.
– Avinash Kaushik –

In effetti il social media marketing serve a tutt’altro. Serve a dare voce a un brand, serve a fornire un supporto in ottica di customer service, serve ad ascoltare i bisogni di potenziali clienti e ideare un piano editoriale di contenuti che questi bisogni possa intercettarli ed è proprio dall’incrociarsi del bisogno con la risposta di un brand sui social in termini di contenuti, che potrebbe innescarsi la scoperta del brand, il following del brand da parte dell’utente e la decisione d’acquisto del prodotto/servizio del brand all’insorgere del bisogno (conversione). Ma mentre i primi 2 punti sono più o meno misurabili la conversione finale lo è di meno.

Perché si sa, io posso iscrivermi a una fanpage soltanto perché tra i miei interessi rientra il settore in cui quel brand opera, potrei anche iscrivermi a 10 fanpage di brand operanti nello stesso settore e decidere di premiare quella che mi coinvolge ed emoziona maggiormente o magari decidermi ad effettuare l’acquisto quando una delle 10 mi propone un’offerta irrinunciabile. Ma appunto io a priori, questa variabile non la conosco e non posso conoscerla. Quindi mettiamo una volta per tutte un altro puntino sulle i dicendo che i social media non servono a vendere. Non sono uno strumento pubblicitario, sono uno strumento di brand discovery, di brand identity, sono uno strumento di conversazione e di ascolto che estende la tua rete di relazioni, ti porta ad essere visibile a un pubblico più vasto e contribuisce alla vendita diretta di altri strumenti pubblicitari nei quali comunque devi investire, ti posiziona nelle menti dei consumatori che all’insorgere del bisogno si ricorderanno di te anziché dei tuoi competitors, perché sei stato in grado di coinvolgerlo in diversi modi (dando informazioni utili sotto forma di post dal tuo corporate blog, pubblicando costantemente contenuti su facebook emozionanti e che spingessero al passaparola, twittando e fornendo servizi di customer care anche ai non clienti, pubblicando offerte ai fan su facebook, ecc.)

AGENZIA/FREELANCE: “il Search e il Display ADS vende più del Social Media Marketing”

Questa affermazione è spesso a opera dei webmarkettari cresciuti a suon di strumenti il cui valore effettivo era possibile misurarlo. Cari seo/sem/display advertiser dal reportino sempre pronto, è anche colpa vostra se poi noi che principalmente facciamo social media marketing ci vediamo imposte metriche di valutazione pari a quelle degli strumenti search/sem ecc. che sono molto più semplici da valutare. Mi dispiace per voi, ma di social avete capito poco e niente però devo dire che siete pronti a coglierne opportunità di business riciclandovi come “social media marketing core business” quale prodotto/servizio della moda del momento.

AGENZIA/FREELANCE: “i primi 3 mesi vi chiedo x, dopo i primi 3 mesi ci sarà un aumento di attività da svolgere e di conseguenza i costi aumenteranno”.

Questi si che sono i furbetti 😀 Quelli che ti chiedono i primi 3 mesi che ne so, 300 euro al mese per la gestione dei social e che dopo i primi 3 te ne chiederanno il doppio perché ti diranno di aver raggiunto gli obiettivi indicati per i primi 3 mesi. Poi vai a vedere quali sono questi obiettivi e c’è scritto tipo “raggiungimento di 1.500 fans entro i primi 3 mesi” e li il cliente abbocca come un pesce lesso. Ps. forse c’è qualcuno che ancora non lo sa, ma sapevate cari clienti che i fans si possono acquistare e anche su Twitter? E che non valgono un fico secco??

CLIENTE: “mi chiedi troppo per gestirmi i social…”

Ecco appunto queste affermazioni sono consequenziali proprio alla cattiva percezione della consulenza/servizio offerto, della diffusione di notizie errate sul reale valore dei social (vedi punto 1) e del voler accomunare il social agli altri strumenti di advertising. Vi dico la verità, noi di Webinfermento non gestiremmo la presenza in rete di aziende (parlo di pmi) a meno di 500-600 euro per mese (chiedo poco eh?). C’è una certa discordanza tra quello che spesso pensa il cliente che il community manager (o potete chiamarlo content editor/manager se volete) andrebbe a fare e quello che realmente fa. Ecco cosa spesso il cliente pensa che fa:

  • “incollare” un link nella bacheca della fanpage (per poi sentirti dire tipo “senti noi gestiamo la fanpage ma sinceramente non vedo ancora risultati apprezzabili in termini di engagement);
  • pubblicare una foto: ok, dopo che sono stati scritti 250 post dai blog di social media marketing sul valore efficace di un’immagine sui social in molti lo hanno capito e pubblicano, giustamente contenuti che prevedono immagini. Ma c’è foto e foto. Ci sono colori che colpiscono e altri che non lo fanno, ci sono frasi a corredo di immagini che catturano ed emozionano l’utente e altre che lo allontanano. Siamo tutti bravi a “mettere una foto su facebook” un po’ meno a capire qual è quella che potrebbe coinvolgere meglio il nostro target e in che momento e in che ora del giorno, ecc.
  • aggiornare twitter: “twitter che? Ah si Twitter, però non so come si usa e non ho capito a che serve, metto i link dei prodotti ma non vedo risultati”.
    Dai gente, oggi sto anche simpatico ma è la realtà con cui noi ci scontriamo non dico sempre, ma quasi.
  • Pinterest, Instagram, YouTube: “eeeeh?”
    Vi siete accorti che per l’80/90% di clienti e potenziali tali il social media marketing (e il community management qualora ci fosse) vuol dire aggiornare Facebook? Triste constatazione e non mi sorprende poi se la seconda voce di traffico nel report Sorgenti di traffico/Risultati organici/Parole Chiavi di questo blog sia “Come creare un canale Twitter”.

Ecco invece quello che noi realmente facciamo:

  • dall’analisi alla strategia, dalla strategia all’azione. Analizzare il mercato, analizzare i competitors, ideare una strategia a step che fonda azioni convenzionali con quelle non convenzionale, online con offline, ecc. definire degli obiettivi raggiungibili (obiettivi in termini non di vendite o di aumento dei fans della pagina, che misura l’efficacia del nulla, ma delle interazioni su Twitter (mentions, retweet) della voce “Persone che stanno parlando di questa pagina” (likes, commenti, shares del post su Facebook), delle immagini repinnate e likate su Pinterest, il numero di utenti che seguono le liste di consigli create da una brand page su Foursquare, ecc. ecc.
  • Dal piano editoriale, alla creazione del contenuto, alla pubblicazione del contenuto. A incollare il link ci vogliono esattamente 50 secondi; 30 per trovare la notizia e 20 per pubblicarla. A ideare il contenuto coinvolgente per un post in una giornata (e un piano editoriale può prevederne da 1 a 5-6 a seconda della pagina) può volerci anche più di mezz’ora. L’immagine va “graficata” perché più bella è più sarà notata e più sarà coinvolgente (più likes, più condivisioni, più commenti). Il testo a corredo dell’immagine va pensato nella capacità di spingere l’utente a un’azione (call to action fittizia) spesso con l’obiettivo di suscitare un interesse condiviso. Non bisogna essere dei poeti per scrivere dei testi apprezzabili ma vi giuro che ci sono fanpage che scrivono ancora in stampatello! Se vogliamo portare traffico a una pagina web e vogliamo misurare quanti click riceve quel link apposto in un’immagine con testo coinvolgente, dobbiamo quantomeno utilizzare servizi di abbreviazione delle url (goo.gl, bit ly, ecc.) e vi assicuro che un link con immagine e stato coinvolgente riceve più click di un semplice “link” incollato nella bacheca.
  • ascolto, risposte ai commenti, stimolare le discussioni: se qualche utente commenta chiedendo informazioni, o per lamentarsi di qualche disservizio, va risposto. E se per ovvie ragioni non conoscete la risposta dovrete mettere in contatto l’utente con un servizio clienti dell’azienda. Tutto queste attività, possono, soprattutto per i grandi brand, richiedere un ingente quantità di tempo.
  • promuovere i social dai social: non è necessario solo pubblicare i contenuti e rispondere ai commenti. Va anche fatta promozione. Un esempio? In Facebook utilizzando la pagina come se fosse un profilo, la funzione è “Usa Facebook come” e selezionate la pagina che desiderate utilizzare e potrete andare a commentare e a scambiarvi opinioni con le pagine che avrete aggiunto ai “preferiti” della vostra. Per quanto possa sembrare strano, questa piccola tattica permette di acquisire nuovi fan, a seconda della validità dei contributi che date nei commenti alle discussioni. Oppure su Twitter, ci sono numerosi tool, che andrebbero utilizzati costantemente per individuare followers interessati, per individuare quelli più attivi e quelli che “conversano” maggiormente dei temi di vostro interesse. Puoi vedere qui una una nostra lista di tool per Twitter. Questa attività richiede impegno e dedizione oltre che conoscenza degli strumenti, c’è poco da fare.
  • analisi, report, osservazioni, commenti, “aggiustare” la strategia
    Ogni buon social media manager deve sempre misurare tutto, osservare quasi con cura maniacale le statistiche di facebook, le persone raggiunte, il contenuto che performa meglio, il contenuto che porta più traffico al sito web e tutte queste informazioni deve girarle al cliente per spiegare perché usa la foto anziché il link o la status testuale. Deve poi proporre cambi di rotta più o meno frequentemente perché la strategia non deve diventare statica e noiosa ma creativa e attraente (vai quindi di contest, di incontri offline, di blog tour, di prodotti o offerte pensati appositamente in determinati periodi dell’anno o dedicati all’utenza dei social, ecc.).

Ora se siete tra quelli che fanno bene questo mestiere, saprete che di tempo ne porta via eccome e se il cliente lo vuole “fatto per bene” deve essere disposto ad investirci.

Professionista SEO, da sedici anni, progetta strategie digitali orientate allo sviluppo di visibilità online. Come SEO ha lavorato in prima persona a differenti progetti complessi in settori ad elevata competizione, costruendo da zero progetti da oltre 20 mila visitatori giornalieri.

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9 risposte a “Linee guida per la compravendita responsabile del Social Media Marketing”

  1. Lorenzo Berti ha detto:

    Articolo praticamente perfetto. Ma vorrei sollevare un “ma”. Così come Marco Bove dice giustamente nel commento qui sotto che le cifre sono oggi più alte, è altrettanto vero che la situazione economica generale non consente più ad un certo settore di investire certe cifre. E la cosa vale per diversi tipi di servizi, a partire dall’umile sito web.

    Non possiamo ignorare che il tessuto di questo paese è intriso di piccole e medie imprese alle quali ci rivolgiamo dicendo che per essere efficaci devono investire nella promozione in modo coordinato e parallelo, dall’off-line al sito web, dalla SEO al Social Media Marketing. E se la cifra di cui parla Dario nel post, condivisibile, è di 500-600 euro al mese solo per il Social fate presto un calcolo del budget di cui stiamo parlando.

    In soldoni quello che voglio dire è che le PMI al giorno d’oggi per sopravvivere devono investire. E che una piccola azienda ha bisogno che il suo partner di comunicazione gli dedichi lo stesso tempo e lo stesso tempo di qualità che dedica ai priopri clienti di Serie A.

    Pertanto la mie domande sono: le piccole aziende non hanno più il diritto di essere promosse come si deve? Dobbiamo dire sempre “no grazie”, non hai un budget accettabile?

    Io credo che la vera sfida, economica ed etica, dovrebbe essere quella di trovare il modo di poromuovere anche chi oggi ha difficoltà a farlo.

  2. […] Linee guida per la compravendita responsabile del Social Media Marketing Gestione, misurazione e organizzazione delle attività sui Social Me… La settimana scorsa vi abbiamo presentato nel post <i><b>“The Apprentice, Briatore e l’anacronismo imprenditoriale italiano” </b></i> il nuovo <b>talent show di Cielo TV </b>, realizzato sul modello di un format americano di larghissimo successo con <b>Donald Trump </b>. Parte di questo successo è dovuto, oltre che alle <b>qualità del programma </b> che abbiamo descritto in precedenza e che colmano le eventuali <b>debolezze “strutturali” e di concetto </b>, a una <b> presenza di qualità sul web </b> che non si limita a una statica proposizione dei contenuti raccontati durante le varie puntate, quanto a una vera e propria <b>comunicazione dialogica </b> con i telespettatori. […]

  3. Michele Papaleo ha detto:

    Forse bisognerebbe rendere chiaro a tutti che search e social sono due mondi vicini e lontani allo stesso tempo!

  4. […] A cosa serve davvero il social media marketing. Peché investire in questo settore. E quali le differenze con il SEM.  […]

  5. Marco Bove ha detto:

    Ciao Dario,

    io rispondo come Agenzia 🙂 , ma posso dirti che sono quelli che sin dall’inizio ha considerato i Social come strumento sempre più utile per determinate attività di promozione online, tu con questo articolo metti ben in evidenza alcuni punti secondo me fondamentali per chi vuole essere presente online:

    1) Bisogna investire, forse fino a 4/5 anni fa la promozione era accessibile anche a chi aveva bassissimi budget (parlo di 2000/3000 € all’anno) ma ora le cifre sono molto molto piu alte, perchè ci sono molti più aspetti da curare e la concorrenza è sempre più agguerrita (non parlimo poi se vai a lavorare sull’estero)

    2) Come facevo notare alcuni giorni fa su Twitter, nel nostro settore (chiamiamolo generalmente Web Marketing) ci lavorano dentro tantissime persone alcune veramente preparate altre pseudo preparate e discutibili che cambiano attività come cambia il vento, alcuni anni fà erano tutti “Esperti SEO” ora incredibilmente molti sono diventati SOCIAL MEDIA GURI/SPECIALIST ect et…potenza della rete. 🙂

    3) Punto dolente, formazione dei clienti o dei potenziali clienti, , anche io che vengo prettamente dal SEO, mi trovo ancora oggi a discutere con aziende che vogliono (fine 2012!!) aumentare il PR (ebbene si ancora il PAGE RANK), oppure posizionarsi con una chiave in prima posizione (quale prima posizione? la mia, la tua 🙂 ) o ancora meglio vogliono posizionamenti garantiti o vendite garantite…, e la maggior parte non riesce minimamente a capire quanto lavoro c’è dietro un progetto web e non capendo tutto quello che c’è dietro non percepisce l’investimento da fare…, e sono anni che succede sta cosa, ma credo che col tempo chi lavora bene e porta risultati dovrà emergere…

    Ciaoo

    • Dario Ciracì ha detto:

      @twitter-39051585:disqus quoto tutto quello che dici. Spero si capisca che io non critico il cliente, bensì la diffusioni di percezioni errate di quello che sta dietro al nostro lavoro, anche perché poi ti ritrovi chi ti dice che costa pochissimo, perché magari è il nuovo social media manager emergente e non ti misura nulla, ecc. e trovi quello che ti costa assai.

  6. Dario Ciracì ha detto:

    Ciao Benedetto, è proprio quello il punto. Chi viene dal mondo search non ha compreso la diversità di obiettivi del social rispetto a search e altri strumenti di adv online misurabili e ha diffuso (con post in blog) la percezione che il social possa essere misurato. Ecco poi nascere i software di smm, i pacchetti, gli obiettivi di raggiungimento di quel tot. di fans entro y, ecc. 🙂 Ciò nel lungo tempo porta a pensare che il social sia un prodotto vendibile al kg (se compro 2 kg di social avrò 4 kg di clienti) e porta i clienti a venirti a chiedere in fase di contrattazione “quanti prodotti avrò venduto dopo 6 mesi”? Ps. chiaramente non sono contro i SEO, anche perché la facciamo anche noi, ma contro la diffusione di preconcetti errati.

  7. SEOJedi ha detto:

    Quanto mi piacciono i post che dicono pane al pane e vino al vino.
    Tutti buoni e cari a fare gli evangelist ma il lavoro vero è un sacco più infernale.

    Sul punto del Search/Display e SMM ho capito il punto che vuoi c’entrare, ma IMHO attento che poche righe prima affermi, giustamente, che i social media non servono a vendere.

    Ho inteso che non è la loro funzione primaria ma qualcuno potrebbe sfruttarla per inserirsi e fare religion war :))

    Se c’è il budget, una concertazione di tutti gli elementi porta di sicuro al risultato. La ricetta poi cambia anche in base alla nicchia: non cucinerei mai il panino dello zozzone al ristorante cinque stelle così come non ha senso fare il filetto al fast food.

    E giustamente hai sottolineato lavoriamo con le PMI (e aggiungo io, non con il grosso marchio) quindi tocca fare spesso i salti mortali.

    • Dario Ciracì ha detto:

      Ciao Benedetto, è proprio quello il punto. Chi viene dal mondo search non ha compreso la diversità di obiettivi del social rispetto a search e altri strumenti di adv online misurabili e ha diffuso (con post in blog) la percezione che il social possa essere misurato. Ecco poi nascere i software di smm, i pacchetti, gli obiettivi di raggiungimento di quel tot. di fans entro y, ecc. 🙂 Ciò nel lungo tempo porta a pensare che il social sia un prodotto vendibile al kg (se compro 2 kg di social avrò 4 kg di clienti) e porta i clienti a venirti a chiedere in fase di contrattazione “quanti prodotti avrò venduto dopo 6 mesi”?

      Ps. chiaramente non sono contro i SEO, anche perché la facciamo anche noi, ma contro la diffusione di preconcetti errati.

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