L’80% delle aziende richiede Instagram agli Influencer
Italia patria di pizza, mandolino e a breve anche di influencer. È una delle “caste” la cui aggregazione fa gola a molti. Diventare influencer è l’apoteosi del divertimento. Lavorare divertendosi, guadagnare dagli sponsor prodotti e anteprime di prodotti per sfoggiarli e mostrarli al popolo, bramare like ed ambire ai più alti livelli di interazione.
Questa è la faccia per certi versi negativa dell’influencer marketing. Sono sempre stata dell’opinione, ma penso che sia comune tra chi fa marketing, che l’influencer è una persona che in realtà non sa di esser influente, o almeno lo sospetta ma non si definisce tale. L’obiettivo di partenza di un utente, che magari poi diventa influencer, è raccontare e raccontarsi, meglio sul personale, e eccellere in una specialità.
Per dire, non basta che piaccia la moda e che si sia ben dotati di lato B per poter diventare influencer, devo possedere doti comunicative e conoscitive che mi permettano di diventarlo, ma solo indirettamente, ed avere un ruolo unico. Basta? Non credo. Secondo me bisogna anche avere uno storico in rete, un qualcosa che ne determini una crescita costante nel tempo, avere informazioni sufficienti per far conoscere l’evoluzione personale.
Dunque, alla luce di queste riflessioni, mi fa parecchio sorridere la bio di un utente che si identifica come “influencer presso Instagram” o influencer della moda, semplicemente perché sta identificando una figura professionale che non può esistere se non esiste la competenza ed il giudizio positivo di questa competenza da parte del pubblico (non pagato).
Influencer, Instagram e nient’altro
Una ricerca pubblicata da eMarketer sta studiando ancora il fenomeno degli influencer. Sulla scia di una precedente indagine, ha confermato dei dati per cui, tra i diversi canali presidiati dagli influencer, Instagram sia il canale predominante. Ma facciamo un po’ di ordine.
L’indagine meno recente, ma attuale, sugli Influencer-Instagram è stata effettuata quando la Federal Trade Commission ha imposto, a coloro che utilizzassero il canale per sponsorizzare un prodotto occultandolo dietro uno scatto, l’utilizzo degli hashtag #ads o #sponsor.
Questa introduzione ha in un certo senso “smascherato” gli influencer mostrando definitivamente il ruolo della figura nel marketing. Non che prima si avessero dubbi, ma adesso è molto più trasparente e chiaro.
L’indagine, ad ogni modo, ha mostrato che, con l’introduzione di questa regola, i post sui canali hanno cominciato a schizzare. Dal 2015 al 2017 è stato registrato, ad esempio nel mese di dicembre, un incremento di più del 100% di post pubblicati da influencer su Instagram, facendo incrementare ancora di più il numero di “mi piace”, in media 682 per post.
Questo ci fa presumere che in realtà l’influencer non perde di valore se mostra un prodotto, anzi forse incrementa ancora di più la voglia di somigliargli. Funziona insomma!
Detto questo, sappiamo che comunque l’influencer marketing ha altri canali oltre Instagram che andrebbero coltivati. Tuttavia sembra che, nonostante avere un blog sia ancora la strada migliore per farsi trovare dai clienti in fase di scoperta, o conoscenza, di un prodotto, Instagram rappresenti di netto il principale canale sul quale ogni azione, dettata dalle aziende, debba prender vita.
Le aziende chiamano, l’influencer risponde
I dati forniti da Zine sugli influencer nel mondo, e pubblicati su eMarketer, riportano che quasi l’80% di essi utilizza esclusivamente il canale per le azioni di influencer marketing, perché le aziende lo richiedono. In fondo sappiamo che tutto ciò che un’azienda desidera da un influencer è di mettere il prodotto in bella mostra.
Come sappiamo Instagram è un canale visual ai massimi livelli. Da comuni mortali è impossibile prescindere dall’immagine che cade sotto gli occhi quando si usa Instagram, dunque non sorprende molto che sia il canale più utilizzato, e di conseguenza non sorprende che le aziende ne facciano esplicita richiesta quando l’influencer viene ingaggiato per un’azione di promozione.
Il blog occupa solo la seconda posizione, con il 16%, seguito da YouTube al 4%. In questo processo Facebook è quasi del tutto inesistente, solo il 2% delle aziende richiedono una pubblicazione su questo canale, la ragione è da ricercare nel fatto che le aziende hanno compreso che su Facebook le possibilità di esser notati si riducono all’osso. Pinterest ultimo con solo l’1%.
Abbiamo imparato a conoscere a fondo il settore dell’influencer marketing, ne abbiamo compreso efficacia, miti e fallimenti, e costi delle azioni su Instagram. Ad oggi è un settore che mi affascina molto e che sembra funzionare bene, se fatto con criterio.
L’arduo compito è delle aziende che, in un mondo così dinamico e fatto di persone sempre più in voglia di emergere, devono cercare di individuare lo spiraglio che le porta a riconoscere il VERO influencer, rispetto al giocherellone di turno.
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