Lo stato della Search “di passaggio”. Insights dal #MozCon
Indice dei contenuti
L’evento
Per il terzo anno consecutivo sono andato a Seattle per assistere al MozCon, la conferenza dedicata all’Internet Marketing che Moz (prima famosa come SEOmoz) organizza ogni Luglio.
Confesso che il mio giudizio è condizionato dal mio essere un Global Associate di Moz, oltre che membro attivo della sua comunità da ormai molti anni, però non credo di essere lontano dal vero affermando che MozCon è probabilmente tra le migliori conferenze sull’Inbound Marketing oggi come oggi.
Notare che ho scritto Inbound Marketing e non SEO, perché – coerentemente con il rebranding di SEOmoz – MozCon non era più dedicato in esclusiva alla SEO. Un cambio che sebbene fosse già visibile nell’edizione dell’anno passato, in quella 2013 si è vista formalizzata da un’agenda, che copriva praticamente ogni aspetto del cosiddetto ecosistema Inbound:
- SEO;
- Social Media;
- Content Strategy and Marketing;
- CRO e UX;
- Analytics;
- Data Science.
Una menzione speciale, poi, deve essere data anche a un tema che per la prima è stato trattato dalla conferenza di Moz: l’organizzione del lavoro, intesa come quella materia che copre tutte quelle capacità organizzative e culturali che i marketers in-house o in-agency devono possedere per poter fare meglio il proprio lavoro.
Aggiungere questo tema è stata una scelta molto intelligente, perché tra i più di 1.300 assistenti c’erano marketers di ogni tipo: SEO, Social Media Specialists, Content Marketers, Analisti Web, e di ogni livello (da Junior a Senior, da specialisti a managers o directors).
Il mio MozCon
Senza togliere nulla alle altre sessioni, quattro sono state quelle che soprattutto hanno attratto la mia attenzione, anche perché sono molto vicine alla mia visione del Search Marketing e ai miei interessi personali:
- Beyond 10 Blue Links: The Future of Ranking, by Dr. Pete;
- String to Things: The Move to Semantic SEO by Matthew Brown;
- Living in the Future of User Behavior by Will Critchlow;
- The Secret Ingredient of Better Marketing by Rand Fishkin.
L’ordine non è casuale, ma segue un filo logico:
- Le SERPs come sono adesso e come reagire sia strategicamente sia tatticamente;
- Quale può essere il nostro vero vantaggio competitivo;
- Che cosa dobbiamo capire – una volta per tutte – su come la gente fa Search e su come i motori di ricerca si stanno adattando a causa di questa nuova condotta;
- Che cosa possiamo fare e che cosa possiamo dire ai nostri clienti (e a noi stessi) in risposta a quelle scuse, che sono causate dal volere resistere a ogni costo a quel cambio di mentalità che è innegabilmente necessario per poter aver successo online oggi e nel prossimo futuro.
Beyond 10 Blue Links – The Future of Ranking
Il titolo originale di questo deck di Dr. Pete era quello che è pubblicato in testa al post.
Un titolo apocalittico, ma che era totalmente giustificato dalla visione delle slides da 9 a 94, che altro non sono che un completo elenco di tutte le 85 features che Google utilizza adesso nelle SERPs.
Dopo aver visto uno dopo l’altro il 10-pack domain sitelinks, il blocco immagini e il megablocco immagini, i video snippets, lo snippet delle ricette, il box del Knowledge Graph e il suo carousel, la mappa con le indicazioni del traffico, la mappa classica, il 7-pack Local ed il 1-pack o il “vicino a” pack… è impossibile non avere le vertigini.
Una sensazione che si acuisce quando si scopre che solo il 15% delle 10.000 SERPs monitorate da MozCast sono costituite dai classici 10 links azzurri.
Il cambio è evidente, e non è limitato solo alla Search su desktop. Per esempio il Local Search si sta spostando di nuovo verso Maps (fatto chiaramente visibile con la nuova versione di Google Maps, da ieri aperto a tutti), oppure gli Agenti Digitali (SIRI, Google Voice) già disegnano le ricerche in accordo con le nostre esigenze e le Cards di Google rispondono alle nostre domande ancor prima che noi le facciamo.
Dr. Pete, poi, ha incominciato a dirci come molti di noi si sbagliano a concentrarsi sempre e solo sulle ultime novità nella loro incessante ricerca della formula segreta dell’Algoritmo, come – per esempio – tutto ciò che riguardi gli Authors, l’authorship e l’AuthorRank. Perché sbagliano? Semplice: perché quella formula segreta in realtà non esiste.
Quello che sì è certo è che il Search sempre più si basa sul concetto di Entities, che è la comune natura di Brand e Autori. Google è brand-centric (o author-centric) a causa di quella loro natura in comune, e non per i brand e gli autori in sé.
Questo significa che se vogliamo avere successo su Google dobbiamo essere e comportarci come un’Entità online.
Questo principio di partenza porta a una rivoluzione copernicana: non dobbiamo concentrare i nostri sforzi nell’ottenere il miglior ranking possibile per il maggior numero di keyword per poter così aver traffico al nostro sito e, auspicabilmente, ottenere conversioni, bensì concentrarci direttamente nel “vendere” il nostro prodotto online. Se davvero facciamo Marketing, i rankings verranno da soli.
Se capiamo il senso di questa rivoluzione copernicana, allora sarà facile capire come comprare/barattare links, fare keyword stuffing, comprare followers, fare spinning, basarsi solo su una strategia di domini esatti e fingere un’inesistente presenza locale sono tutte tattiche inutili (oltre che ripetutamente penalizzate).
Al contrario, se mettiamo il “vendere” al centro, fare Marketing, allora sarà ovvio che cercheremo di attrarre links (link earning), di targetizzare concetti, costruire una comunità attorno alla nostra Marca, diventare un Brand riconosciuto e che penseremo localmente anche se siamo un’impresa nazionale o globale.
E sapete qual’è un’altra conseguenza di questo nuovo modo di fare Online Marketing? Che è anche il metodo migliore per smettere di essere schiavi della tirannia di Google, perché agendo in quel modo – se lo facciamo bene – saremo riconosciuti come il leader nella nostra nicchia di mercato, e i clienti arriveranno al nostro sito, ci citeranno e ci linkeranno per quello stesso motivo.
String to Things: The Move to Semantic SEO
Se le SERPs sempre più sono influenzate dall’Entity Recognition, che cosa possiamo fare noi SEO oltre a seguire i consigli che Pete ci ha dato nel suo deck? Pensare alla SEO Semantica, intendendo con quella definizione l’orientare l’ottimizzazione per i motori di ricerca basandoci – appunto – sull’Entity Recognition e così aumentando la rilevanza del nostro sito.
Dobbiamo però capire che il Semantic SEO non è l’ennesima tattica che possiamo tirare fuori dal cappello, ma l’espressione – a livello della nostra industria – di dove i motori di ricerca stanno andando.
Se vogliamo cercare una ragione in quest’evoluzione, probabilmente dobbiamo cercarla nell’ARPU in continuo calo del desktop rispetto al mobile, e non solo nell’ascesa del mobile in sé.
Un altro motivo per cui faremmo bene a saltare sul carro della SEO semantica è anche perché così facendo avremo un vantaggio competitivo difficilmente da superare. Sono i numeri a dircelo:
- Solo il 36,9% delle URLs hanno implementato Open Graph;
- Solo il 9,9% delle URLs hanno implementato Schema.org;
- Solo il 7,1% delle URLs hanno implementato il rel=”publisher”;
- Solo il 2,2% delle URLs hanno implementato il rel=”author”.
Che i motori di ricerca (tutti, non solo Google) si stiamo muovendo decisamente verso la Semantica e l’Entity Recognition è ben documentato da Matther (guardare le slides da 21 a 31), con molti riferimenti a documenti e video ufficiali.
Dopodiché, egli ha presentato alcuni tools specifici, alcuni proprietà degli stessi motori di ricerca (ad esempio Freebase) e altri di terze parti (ad esempio Fresh Web Explorer di Moz). Vi consiglio di studiare bene le slides da 32 a 41).
Da un punto di vista tattico, la parte più interessante della sessione di Matthew, però, è quella che egli descrive in “Step 3: Target the Entity Long Tail” (dalla slide 42).
In questo terzo passaggio, Matthew Brown suggerisce di non concentrare i nostri sforzi in SERPs fortemente basate sull’Entity Recognition, in cui Knowledge Graph – soprattutto – è presente con il suo box o carousel o con entrambi.
Invece, il nostro target dovrebbero essere quelle che egli definisce come il long tail delle entity-based queries (esempio: “guida alle birre di Seattle”), utilizzando tools come le API di Freebase, Bottlenose e altri tool specializzati nell’analisi del Social Graph, per mappare le entità online e cominciare così a implementare la ricerca delle “frasi semantiche” affianco al classico processo di “keyword research”.
Una volta raccolti questi dati potremo incominciare a creare contenuti o ad ottimizzare i contenuti di pagine già esistenti in modo da poter rispondere bene anche alle relazioni tra entità, quindi avendo l’opportunità di risaltare nelle SERPs condizionate dall’Entity Recognition.
Living In the Future Of User Behavior
Se i motori di ricerca si stanno muovendo verso un Internet di cose, questo è conseguenza anche del cambiamento dell’attitudine che la gente ha nei confronti del Search.
Infatti, stiamo passando da una situazione in cui gli utenti erano ancora influenzati da un modo di pensare in gran parte analogico, a uno in cui loro stessi hanno il controllo diretto dell’atto della ricerca. Il fatto che il 77% delle ricerche da mobile siano realizzate in posti in cui un PC è presente (casa, ufficio) è indicativo di questo cambio.
Un cambio che i motori di ricerca hanno compreso bene. Come pure hanno compreso che la gente preferisce essere sempre signed-in (il sync multi-device di Chrome è buon esempio di questo comportamento) o che agli utenti in realtà non importa l’hardware con cui realizzano una ricerca, ma il software/contenuto mostrato da quell’hardware.
La personalizzazione è il futuro… ma a ben vedere si tratta di un futuro che è già qui, e Entity Recognition e Knowledge Base stanno alla base delle SERPs personalizzate, perché entrambe giocano un ruolo nella contestualizzazione delle queries.
Se una volta una query era solamente esplicita (per esempio: London Tube Stations), adesso essa possiede anche un aspetto implicito (per esempio: London Tube Stations, query fatta da un utente usando un iPhone e che sta camminando per una strada di Londra).
Questo sta già avvenendo adesso, e non è qualcosa che verrà in un futuro lontano. Quindi dobbiamo già incominciare a pensare alla Personalizzazione delle Ricerche come uno dei maggiori assets della nostra strategia SEO, e come la miglior maniera di farlo – a parte essere “amati” dalla nostra audience e riconosciuti come un’entità online (vedere di nuovo il deck di Dr. Pete) – è facendo felici i bots costruendo websites che siano facilmente leggibili e capibili (Schema.org essendo l’inizio) e rendendo anche i nostri fattori di trust facilmente leggibili (ad esempio usando il rel=”author” o Google Plus), capendo come Link Graph, Social Graph, Menzioni ed Entity Recognition interagiscono fra di loro (come ho spiegato anche nel mio ultimo post su Moz).
The Secret Marketing of Better Marketing
[Purtroppo non esiste alcuno Slideshare da embeddare in questo momento]
Crisi è la parola che meglio descrive quello che si sta vivendo nell’industria del Search Marketing. Però dovremmo intendere “crisi” nel suo significato originale di “passaggio”, e ogni passaggio è doloroso perché significa abbandonare qualcosa di conosciuto (per esempio la SEO di una volta) per qualcosa di nuovo e in gran parte ancora sconosciuto, soprattutto dalle aziende.
Ma le crisi sono anche il momento ideale per portare a termine i cambi più radicali, e senza porre scuse, come ben detto da Rand Fishkin nella sua sessione di conclusione del MozCon, in cui ha descritto – tra le altre cose – i sei fattori “segreti” del vero successo online.
Trasparenza
Se dite a voi stessi: “I nostri dati non sono poi così interessanti”, in realtà questo significa che non siete creativi.
Se poi dite che non potete mai condividere questa o quell’informazione, in realtà questo significa che la paura vi sta impedendo di fare grande Marketing.
Autenticità
I Brand sono creati da persone, e persone sono gli utenti che scelgono un Brand. Connettere emozionalmente i Brand e gli utenti è essenziale per creare una comune visione del mondo, che entrambi possono condividire.
Quindi, dire qualcosa come “Noi osserviamo un ambiente di lavoro strettamente professionale” e riflettere quell’atteggiamento anche online, in realtà significa mostrarsi distanti dai tuoi clienti, dai tuoi lavoratori e (probabilmente) anche danneggiare il tuo benestare emozionale.
Generosità
Essere generosi non è sinonimo di offrire denaro. Generosità significa essere aperti e aiutare gli altri. Fatelo perché è buono, ma anche perché è un’ottima strategia di Marketing, che prioritizza la serendipità a lungo termine sul ROI a corto.
Divertimento
Prendete esempio da come Betabrand denomina i suoi prodotti, e non pensate solo e sempre di seguire una logica basata sulle keywords. Usate il divertimento per dare vita anche all’argomento più noioso.
E non lasciatevi frenare dalla scusa che il vostro Marchio non è adatto per cose divertenti. Che direste una volta provatolo e avendo avuto successo?
Empatia
L’empatia è alla base della vera UX. Senza di essa gli utenti sarebbero persi.
Empatia significa anche conoscere la nostra audience, cose davvero le piace e interessa, cosa non sopporta e di che cosa parla. Ubersuggest può essere utile non solo per scoprire nuove queries, ma anche per capire meglio il nostro target.
E se usate come scusa che fare tutto questo è complesso o difficile, allora siete miopi, perché è in queste cose che si ottiene un reale vantaggio competitivo.
Eccezionalità
Una volta Ella Wheeler Wilcox disse: “Un originale fatto male è sempre meglio di una buona imitazione”. Questo significa cercare l’eccezionalità.
Siate l’eccezione, perché andare sempre al traino della concorrenza l’unica cosa che assicura è che sarete sempre in seconda posizione.
E seppure amiamo essere data driven marketers, non diventiamo troppo dipendenti dei dati e delle statistiche, perché fissarci in essi potrebbe portarci a volere evitare il rischio di innovare.
Sarà pure vero che il 77% delle ricerche Google avviene su mobile dagli stessi luoghi in cui sono presenti PC (poi capirò come si fa a rilevare con certezza questo dato), però sono convinto che il tipo di ricerca da mobile sia profondamente diversa, meno speculativa rispetto a quella effettuata mediamente da pc. Ho scritto proprio ieri un articolo su Seogarden.net in cui parlo di questo e concludo che avvengono ricerche diverse per piattaforme e modalità d’accesso diverse.
La questione insomma, dal mio punto di vista non è legata a quante ricerche si effettuano da mobile, ma alle differenze tra queste ricerche e quelle effettuate da pc. Questo conta quando devi curare l’ottimizzazione SEO.
p.s.: Dario, scusa se vengo sempre a rompere sul tuo blog, ma non è colpa mia se ci pubblichi articoli così interessanti. 😉