Influencer Marketing: converte meglio quello spontaneo o quello a pagamento? [Ricerca]
Dell’importanza della figura dell’influencer sulle decisioni di acquisto di un potenziale acquirente ne siamo ormai tutti consapevoli.
Ne parliamo in questo blog da almeno cinque anni (primo articolo “Nella mente di un influencer“) e ad oggi sicuramente si nota una graduale propensione delle aziende e delle agenzie web nei coinvolgere personalità influenti di un settore nelle campagne di web marketing.
Quanto converte però un influencer? E soprattutto, converte di più un influencer organico, inteso come quella persona che condivide contenuti in modo spontaneo alla propria audience, o un influencer che viene pagato per diffondere determinati contenuti?
Un’indagine svolta da Shift Communications ha analizzato le performance di 16 influencer su Twitter nel settore tecnologia e business, metà dei quali influencer di professione che recensiscono prodotti e servizi a pagamento, cercando di comprendere se permette di avere un maggior ritorno dell’investimento un influencer organico (o spontaneo) o uno a pagamento.
Indice dei contenuti
Influencer Marketing: quale converte meglio?
1. Visualizzazioni
La distribuzione del numero di visualizzazioni tra influencer organici e a pagamento è più o meno equa.
2. Engagement
Qui viene il primo grosso cambiamento. Nei livelli di engagement dei 2 gruppi di influencer, quelli organici riescono a generare engagement 6 volte maggiore rispetto a quelli agli influencer a pagamento.
Parte delle motivazioni è probabilmente nel volume dei contenuti pubblicati. Solitamente gli influencer “retribuiti” pubblicano un maggior numero di contenuti, ma questo non vuol dire che i risultati prodotti in termini di engagement saranno migliori.
3. Impatto sulla propria audience
Quanto coinvolgimento riescono a generare, in rapporto ai loro followers, influencer organici e a pagamento?
L’indagine fa notare che, nonostante un ampio pubblico, gli influencer raggiungono in media 1 o 1,5 utenti ogni 10 mila followers.
Nonostante l’influencer organico faccia leggermente meglio, restano comunque numeri piuttosto bassi.
C’è però da fare una precisazioni. Questi risultati prendono in riferimento soltanto il canale Twitter, che, come sappiamo ha un tasso di reach molto scarso se paragonato al numero di followers di un canale.
Situazione questa, che forse potrà cambiare – leggermente – con il nuovo algoritmo del feed lanciato da Twitter.
4. Impatto sui click e le condivisioni (traffico)
Qui giungiamo all’aspetto più interessante dell’indagine, ovvero alla capacità degli influencer di generare traffico, inteso come click e condivisioni. Senza il traffico, difficilmente si raggiungoni i KPI’s prefissati dalla campagna di marketing.
È proprio su questo punto che la differenza tra influencer organico e a pagamento diventa molto più netta.
Vediamo come i contenuti condivisi spontaneamente dagli influencer organici generano molte più condivisioni e click rispetto a quelli condivisi da influencer retribuiti.
Ciò probabilmente è legato al fatto che i contenuti condivisi sono news che il pubblico ha una propensione a condividere normalmente, mentre quanto condiviso dagli influencer retribuiti sono, spesso, “post markette” a qualche azienda.
Conclusioni
Questa piccola indagine conferma una tendenza piuttosto naturale: l’influencer di professione ha meno successo. Quello organico è il reale influencer. Questo cosa vuol dire? Che le aziende dovrebbero scegliere con attenzione quali influencer coinvolgere nelle proprie strategie di marketing e non limitarsi a notare soltanto quanto ampio sia il suo pubblico followers, ma analizzando meglio le metriche qualitative dello stesso, come numero di retwit medio, numero di click sui link, tasso di retwit medio, oltre che a tutte le metriche qualitative del blog dell’influencer.
Se l’influencer diventa professionista, non farà altro che condividere markette e prima o poi il suo pubblico si stancherà e l’interazione calerà inevitabilmente, finendo nei peggiori dei casi, per essere nascosto dai feed dei suoi stessi followers.
Ciao, anch’io ho avuto la mia esperienza con gli influencer che però non ha avuto un piacevole risultato. Spiego tutto quì: http://www.pompeopipoli.it/social/chi-sono-gli-influecer/
In merito al commento appena postato, Volevo dire:solo markette! (Maledetto correttore!)
Dipende da che influencer usi. Quelli veramente bravi coinvolgono il loro pubblico su tutti i post che fanno: spontanei o a pagamento. Certo se ne scegli tra quelli che fanno solo marketing è diverso 🙂
Analisi curiosa e interessantissima quella di Shifts sul ruolo dell’influencer su Twitter, ma anche le tue considerazioni Dario le trovo più che mirate.
Tuttavia ti pongo una domanda, forse classica: e in Italia? Come lo rapporteresti a questo studio più internazionale?
A mio modesto parere, ricordandoci sempre che è un’analisi sul canale Twitter, mi sembra che venga scoperta l’acqua calda: l’influenzatore è anche il nostro vicino di casa. La credibilità di una persona NON pagata, quindi, sarà sempre maggiore e più apprezzata di un utente che si definisce già dal proprio titolo “Influencer” (ormai facilmente riconoscibili; inoltre se ne scoprono sempre di più, di quest’ultimi).
Ciao Alessandro!
Grazie per le tue osservazioni che condivido. L’assunto è che se l’influencer lo fa di professione – e quindi da un giorno all’altro inizia a pubblicare quasi soltanto post “markette” rivolte ad aziende – i suoi followers lo capiscono e tutto il pubblico costruito in molto tempo e dedizione viene perso in un batter d’occhio.
Di conseguenza anche poi le stesse aziende non investiranno più in quell’influencer.
C’è poi da dire, come affermi anche tu, che l’indagine è un po’ restrittiva: prende in esame solo il canale Twitter. Una buona indagine dovrebbe essere più profonda e esaminare anche:
– profilo/pagina Facebook
– canale Instagram (soprattutto in nicchie come Moda, food, ecc.)
– sito web/blog collegato (metriche SEO, traffico, ecc.)
Solo in questo modo potremo avere un reale punteggio di qualità di ogni singolo influencer.
Sono più che d’accordo, Dario 🙂