Social Media Marketing

Facebook e l’affannosa ricerca della Reach organica, due casi

Quando si ha a che fare con Facebook, in maniera seria e lavorativamente parlando, uno degli argomenti su cui si discute di più è la Reach. Il termine indica la portata di un post in termini di visualizzazioni che si riescono a collezionare solo ed esclusivamente dopo che un contenuto è stato postato.

La Reach è un paramento di successo su Facebook? Si e no. Ci offre un bello strumento per capire se un contenuto funziona e, a partire dalla basa organica ci dice quanto siamo stati bravi a raccogliere le intenzioni del pubblico, oltre che i loro interessi.

Tuttavia, la Reach non sempre deve esser considerata una metrica di giudizio del nostro lavoro, considerato che la variabile più importante la detiene Facebook con le sue regole di visibilità. In ogni caso la Reach possiamo annoverarla come parte integrante di una valutazione, di successo o insuccesso, ma non l’unica da tenere in conto.

Sicuramente a tutti sarà capitato di ottenere numeri incoraggianti dopo la pubblicazione di qualche post, se la risposta è sì, sapete cosa si prova quando un contenuto ha molto successo.

Tuttavia son sicura che anche voi quotidianamente effettuate l’accesso all’area Post dei Facebook Insights alla ricerca di un qualche miracolo compiuto e, a parte rare scoperte, merito per lo più delle ambite interazioni Social, il più delle volte sospirate perché abituati a convivere con una scarsità di risorse (visualizzazioni).

Ovviamente questa non vuol essere una condanna al canale, anche perché l’attività di publishing si svolge in un luogo privato, di mr Z., ma prender atto ci fa sentire meno colpevoli dell’insuccesso di un post e più consapevoli nel dover investire risorse per migliorane l’efficacia, solitamente i soldi funzionano meglio di tutto.

C’è però un ma. Di sicuro quando si ottiene successo organico con un post possiamo gioire per due importanti motivi:

  1. abbiamo interessato quei pochi utenti che ci “vedono”, che da quel momento in poi (Edge Rank docet) torneranno a rivedere i contenuti con più frequenza (affinity);
  2. abbiamo, attraverso questi utenti e per il tempo di vita di un post, ottenuto una esposizione interessante del nostro brand verso nuovi potenziali sottoscrittori.

Tuttavia ritengo che il successo di un post non sia una cosa che si possa facilmente pianificare. Sembra interessante l’idea di immaginare l’esistenza di un genio del Social, un mago, che interpreta a fondo le intenzioni dell’utente e le sa plasmare facendo centro ogni volta, ma il più delle volte ritengo che il boom di un post sia dettato dall’”essere al posto giusto, nel momento giusto, con il contenuto giusto”.

La Reach è un parametro del tutto malleabile e si plasma ovviamente sulla base del coinvolgimento che si riesce a raccogliere dai fan e non fan.

Un post può sicuramente avere alla base uno studio analitico del pubblico, sia qualitativo che di contenuto, e sappiamo che la Reach è proporzionale ovviamente al numero di iscritti ad una pagina (4-5% si stima), ma è strettamente correlata anche all’importanza del brand.

Prendete il caso dei brand “famosi” che di solito hanno pagine molto popolose. Escludendo i post sponsorizzati, su ogni contenuto, a prescindere dalla qualità di quel contenuto, l’aficionados sarà spinto a commentare, condividere o aggiungere una reaction al post, innescando il processo naturale di crescita del contenuto e di relativa esposizione.

Questo è un percorso abbastanza naturale, ma il “povero squattrinato” come fa? Vi riporto a tal proposito due esempi che vi faranno capire un po’ come ci siano modi diversi di approcciarsi agli ostacoli che Facebook impone, e superarli in modo organico.

Due casi che ho osservato su Facebook

Qualche giorno fa, ho trovato su Facebook un contenuto bizzarro a dir poco. Parliamo di un contenuto che, come molti, viene spesso utilizzato sul canale, come strategia per allungare la vita di un post e “giocare” con il benedetto algoritmo per riportare i livelli di Reach ad uno stato dignitoso.

Uno stupido gioco, che inganna. Viene richiesto di commentare esplicitamente per osservare una qualche modifica dell’immagine. Ora, qualunque utente esperto di Facebook potrebbe facilmente dedurre che si tratti di una bufala, ma osservate il numero di interazioni e condivisioni. Una quantità impressionante che farebbe invidia a chiunque.

Un contenuto privo di ogni utilità umana che distrae l’utente e lo pone di fronte ad un out out che lo lascerà con un dubbio nel caso in cui non dia la risposta. Ecco perché, secondo me, il più delle volte il navigatore ci casca. Ora qui noterete che si tratta di un post di un utente, ma immaginate la stessa strategia declinata su una pagina: possiamo solo immaginare quale tasso di Reach possa ottenere.

Alla luce di questi risultati, a questo punto sorgerebbe spontaneo domandarsi: ma dobbiamo postare sempre “minchiate” (scusate il termine) per vincere su Facebook? No, teoricamente non dovrebbe funzionare così. L’ideale è quello di cercare, nei piani editoriali, un equilibrio tra informazione ed intrattenimento e cercare più che altro di puntare sulla qualità per esser memorabili.

Cerchiamo di andare più a fondo nell’analisi di questo caso.
Il successo di un simile post è innegabile, ma a che prezzo? Cosa si porta dietro di sé di positivo un contenuto come questo?

Innanzitutto un contenuto simile eticamente gioca a spese del popolo “ignorante” di Facebook, quello che condivide e che partecipa per spirito di appartenenza, perché lo fanno tutti, ma come in questo caso anche per curiosità, dall’altro lato però, se ci ragioniamo su, chi ne fa le spese è proprio il brand stesso.

L’apparente successo dietro il quale si cela un contenuto like bait come questo, potrà sicuramente esser una strategia editoriale, pur essendo un contenuto del tutto insignificante, ma a lungo andare produrrà solo una bellissima collezione di interazioni, no branding, no expertize, nessun arricchimento per l’utente. Dunque parliamo di qualcosa di effimero e non duraturo che spinge l’utente ad interagire, ma alla fine dell’interazione, lascia dietro di sé il vuoto più assoluto.

Un contenuto “stupido”, finalizzato esclusivamente a portare delle interazioni sulla pagina, al fine di comunicare risultati sorprendenti nei report finali (magari una tantum), non decreterà il successo di una strategia e quindi della pagina stessa. Il successo è consolidato se si riesce a raggiungere quella soglia di attenzione che penetra nelle menti dei follower e li convinca che, quanto si sta osservando, merita attenzione.

Qui vi riporto l’esempio numero due che ho scovato e che potrebbe tranquillamente essere l’antitesi di quello precedente, anche se con un risultato medesimo.

Parliamo al contrario di un video che mostra come si può trasformare la mitica canzone Bohemian Raphsody dei Queen in un film. Il risultato tangibile del successo del contenuto è un’infinità di reaction, tantissimi commenti e migliaia di condivisioni.

 

Due strategie di apparente successo a confronto

Cosa differenzia il contenuto dell’esempio uno con quello dell’esempio due? Mi verrebbe da dire un abisso, ma voglio esser più pragmatica.

Il contenuto numero uno non è studiato, è abusato. Si vuole con intenzione circuire l’attenzione dell’utente su un qualcosa di illusorio e ingannevole.

Il secondo esempio lavora con ragione, richiama l’attenzione dell’utente perché colpisce il sentimento di ammirazione nell’aver partorito un’idea come quella, ma al contempo si ha modo di apprezzare la qualità della realizzazione.

I risultati sono medesimi in termini di successo? Forse, anche se bisognerebbe analizzare il sentiment dei commenti e delle condivisioni. Tuttavia, quello che posso concludere con certezza è che nel primo caso l’utente non ricorderà ciò che ha commentato, anzi potrebbe addirittura arrabbiarsi se si accorge di esser stato oggetto di uno schernimento (quasi pubblico) da parte di una pagina o di un utente, nel secondo caso l’utente svilupperà ammirazione e apprezzamento per il lavoro svolto, con buona probabilità l’utente andrà a ricercare altri contenuti come quello, anche al di fuori di Facebook, si informerà online sul nome del brand e cercherà di capirne di più.

Una sottile differenza tra “esser su Facebook” ed ESSERE su Facebook, ma divisa da un baratro di opportunità, a partire da uno sforzo forsennato di conquistare una dignitosa Reach.

 

Co-founder dell'agenzia, si occupa di sviluppare strategie Social e di Link Building intervenendo nell'ideazione, scelta e creazione dei contenuti nonché sviluppo dell'interfaccia comunicativa dei contenuti. In ambito design è occupata nello sviluppo di siti web, dalla radice all'interfaccia, e nella realizzazione di contenuti che siano più efficaci per comunicare in rete: infografiche, grafiche specifiche per i Social, User Interface per siti e landing page.

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3 risposte a “Facebook e l’affannosa ricerca della Reach organica, due casi”

  1. Mari ha detto:

    ho notato un picco in discesa dopo un paio di settimane dall’inizio della gestione di una pagina B2B. I fan me li sono ritrovati (e secondo me pochi in target per cui sto procedendo a eliminarli manualmente), per il resto ho notato che il picco in basso della reach organica è iniziato in concomitanza a campagne di annunci sponsorizzati (non i post della pagina sponsorizzati). Ma davvero è difficile trovare la quadra

  2. Nicola Bano ha detto:

    Ciao Maria Pia,
    secondo me il problema resta: per realizzare un video come quello del secondo esempio serve un budget (enorme), che potrei investire in Adv invece che nella realizzazione del video. Sull’esempio numero uno sei stata chiarissima ed è una cosa che personalmente non farei mai, né la consiglierei a qualcuno.
    Quindi, torniamo al punto di partenza: serve un budget per l’Adv, altrimenti non si va da nessuna parte. Insomma, è vero, qualche “fortunato” (o talentuoso, forse) che ancora riesce ad ottenere risultati senza Adv esiste, ma quanti sono?
    Grazie per i tuoi articoli, ti leggo sempre con molto interesse.
    Nicola

    • Maria Pia De Marzo ha detto:

      Ciao Nicola, hai perfettamente ragione. Sono due contenuti che sfruttano due formati molto diversi, con costi diversissimi, ma hai mai pensato al fatto che, proprio il budget destinato al video, possa esser esso stesso una campagna? Insomma quel video lo puoi sfruttare su diversi canali e non solo su Facebook dove, contrariamente, con un immagine e “solo” con un Adv riesci a portarti dietro un po’ di like in più e, se fatta bene, anche delle visite ai propri siti. Certo, non generalizzo, tutti dipende dagli obiettivi della campagna e da come è stata impostata.
      Ad ogni modo mi rendo conto che, in entrambi i casi, si tratta di contenuti al limite che, come ben dici, sono solo per pochi “fortunati”.

      Ti ringrazio per l’attenzione, mi fa molto piacere il confronto 🙂

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