Ecommerce Usability: perché il 68% degli utenti abbandona il carrello
Quando si parla di siti web i termini come usabilità, accessibilità, o più semplicemente semplicità d’uso e di navigazione sono ormai masticati da molti. Bene o male tutti gli utenti, tecnologicamente aggiornati, hanno avuto una esperienza con lo shopping online e hanno ben chiaro quali siano passaggi, modalità di funzionamento e come finalizzare il processo di acquisto.
Prendiamo atto del fatto che, il più delle volte, “shopping online” vuol dire Amazon, il sito numero uno, il riferimento principale per assortimento di prodotti, efficacia della navigazione, processo d’acquisto semplificato al massimo che si traduce in utenti felici e fidelizzati e tasso di penetrazione ottimale: se un utente è inizializzato allo shopping online, ha come visione e punto di riferimento AMAZON.
Proprio avendo come esempio un colosso mondiale, la scelta dei piccoli di creare un processo di acquisto complesso, che richiede troppo sforzo cognitivo o se risulta eccessivamente articolato, spinge l’utente verso la frustrazione e l’abbandono.
Abbandonare un’azione su un sito di e-commerce vuol dire, per il venditore, vedersi sfumare una chance di conversione, ma ancor più grave è registrare un abbandono del carrello quando l’utente ha già investito il suo tempo nel navigare, selezionare e pre finalizzare l’acquisto.
Lasciare uno shop con il carrello pieno è per l’azienda una sconfitta per due motivi:
- è sfumata la conversione;
- c’è l’evidenza che il problema principale non è nel “non aver trovato il prodotto desiderato”, ma in qualcosa di più profondo e che ha che fare con l’usabilità del sito.
Uno studio concreto sull’usabilità in fase di checkout
Una ricerca di Baymard Institute ha stimato che il tasso di abbandono in fase di acquisto è del 68.8%! Questo in termini più concreti si traduce nel fatto che due utenti su tre abbandonano l’acquisto, nonostante l’aver speso del tempo per “creare” il carrello.
Una percentuale che obiettivamente fa paura e che fa preoccupare oltre che spaventare. Se pensate che l’universo del commercio elettronico è per lo più costruito su sistemi CMS già ben pacchettizzati e pronti per funzionare, leggere questo dato suona altisonante e un po’ stridente. Se la maggior parte degli shopping online si avvalgono dell’uso di sistemi come Woocommerce, Prestashop, Magento, ecc… tutti studiati, nel bene e nel male, per garantire una migliore esperienza processuale, vuol dire che alla base c’è qualcos’altro che non va.
Ma vediamo nel dettaglio, andando più a fondo nella ricerca: quali sarebbero gli elementi che fanno allontanare irreversibilmente l’utente dall’acquisto?
I risultati dello studio si basano su test di usabilità qualitativa con 272 sessioni tester-sito seguendo la metodologia del “Think Aloud” e monitoraggio oculare. I 10.721 partecipanti, nonostante abbiano testato siti e-commerce trainanti, hanno riscontrato +2.700 problemi di usabilità durante la fase di checkout.
Tra i problemi principali è emerso che i costi extra, che includono spedizioni, tasse, fees, risulta esser la limitazione principale, posizionandosi al primo posto come fattore limitante all’acquisto. In effetti pensate quanto può esser fastidioso, ad esempio, trovarsi nella condizione il cui il prodotto acquistato ha un costo inferiore rispetto alle spese per riceverlo.
Scendendo in seconda posizione, altro gap, è la richiesta di creare un account costringendo l’utente a dover per forza iscriversi al sito e non poter fare ordini da guest. Seguono altri problemi, uno quello legato alla sequenza di azioni che portano al checkout, troppo lungo o complicato e due la mancanza di trasparenza ossia non aver la possibilità di vedere il totale del costo immediatamente.
Anche le questioni logistiche impediscono ad un e-commerce di funzionare, come la spedizione troppo lenta, ma anche la mancanza del metodo di pagamento preferito o le condizioni di reso non proprio soddisfacenti.
Infine i problemi tecnici non mancano come la percezione di non sicurezza nel sito e quindi la diffidenza nel fornire i dati sensibili di pagamento, ma anche errori in fase di acquisto o crash improvvisi.

Fonte: Beymard Institute
Come notiamo sono tutti problemi che, in teoria, possono esser tranquillamente risolti migliorando le performance complessive del sito e rivedendo le politiche di shopping online.
Sempre nell’indagine si evidenzia come, la maggior parte delle limitazioni emerse in fase di indagine, possono esser tranquillamente risolte semplicemente migliorando il modo in cui le informazioni vengo presentate, ossia agendo sul design delle pagine, migliorando i form, aggiungendo piccole feature che snelliscano il processo.
Con il solo intervento di riprogettazione, si potrebbe registrare una crescita del tasso di conversione al 35.26%. Sorprendente vero?
Qualche possibile soluzione perseguibile
Alla luce di questi dati cosa può fare un’azienda per capire dove sbaglia? Innanzitutto è importante tenere sotto stretto controllo l’andamento delle vendite ed associare anche la capacità di monitorare a fondo il comportamento dell’utente all’interno dello shop. Tracciare ogni azione che esso compie per individuare eventuali falle è fondamentale per raccogliere segnali e capire dove migliorare.
In fase successiva sottoporre il proprio sito ad un esperto che analizzi a fondo il sistema, proponendo anche sessioni di testing, è un procedimento cruciale per capire dove nascono e vivono le criticità e, se il caso, è importante intervenire aggiornando e migliorando – o in taluni casi ricostruendo – il metodo scelto per l’acquisto online.
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Ciao Maria,
un’ottima analisi.
Grazie Mirko, in effetti la ricerca lascia aperti molti spiragli su cui riflettere.