I Social e la voce dell’indignazione, casi di crisi e lezioni da imparare
L’idea che i Social siano una piazza dove si discute e ci si anima, mi è sempre piaciuta. Immaginare un ambiente parallelo a quello reale, digitale, tecnologico ed in un certo senso “evoluto”, un luogo in cui il confronto è naturale, dove stabilire le proprie opinioni è prassi e vederle confutate è regola, mi stuzzica sempre di più, ma al contempo mi fa riflettere. In particolare , per deformazione professionale, sull’argomento “aziende e Social”.
Dall’avvento di Facebook come strumento di business ogni singola azienda, piccola o grande che sia, ha imparato a raccontare se stessa, in modo professionale o meno, talune volte facendosi notare e diventando grande, altre volte accontentandosi.
Le aziende sui Social per certi versi sono anche avvantaggiate nel mercato perché hanno l’enorme privilegio dell’avere un ambiente apertissimo con il quale confrontarsi con i propri utenti prima, clienti poi, e raccontarsi, mettersi a nudo ed in un certo qual modo farsi amare. È un idillio amoroso quello che si instaura tra cliente e business sui Social e per questo va coltivato, alimentato e mai deluso. Pena l’esser sottoposti alla “gogna mediatica”.
Siamo umani? Si! Siamo dietro uno schermo, ma continuiamo ad esserlo, possiamo sbagliare, ci è concesso, ma quando il rischio di fallire è molto elevato, cosa ci spinge comunque a continuare? L’azienda Social vuole sbagliare?
Gli Epic Fail, un concetto che esprime il peggio che si possa produrre dai business sui Social, rappresentano le lezioni esemplari che servono ai posteri come monito e allerta, da non ripetere mai più in futuro. Ma molti ancora non ce la fanno proprio a conservare coscienza e farne tesoro.
Assistiamo nuovamente ad un episodio perpetrato da un brand che suona quasi come grottesco e per l’ennesima volta coinvolge vicende dolorose che le popolazioni del centro Italia stanno vivendo, il terremoto. Ancora, e secondo le medesime tattiche del passato, torna ad infiammare il Social Web la pessima gestione Social fatta da una pagina a cui è collegato un ristorante del brindisino.
Sintetizzando la vicenda, un ristorante del brindisino, ironizza sul terremoto creando una grafica discutibile in cui campeggia la scritta “dolcetto o terremoto?”. Una frase che per quanto stupida essa sia lascia poco spazio a diverse interpretazioni: “volete il dolcetto o volete il terremoto?”.
Il messaggio è chiaro “noi vi offriamo il dolcetto e non il terremoto”, un copy sovversivo, insensibile e privo di creatività, banale e mal pensato e studiato. Un testo che sembra urlare, e non sussurrare, negli animi di chi vive la vicenda, di chi ha persone che la stanno vivendo e di chi si stringe, anche solo umanamente allo stato di agitazione degli abitanti. Ma questo non sembra interessare agli amministratori della pagina.
A distanza di alcuni giorni e nonostante le spiegazioni dell’obiettivo del messaggio, a quanto pare benefico, ancora fatico a capire del perché di tutta questa sufficienza con cui il pubblico viene trattato.
Le barriere difensive sembrano orientate al “o con me, o contro di me”, ma quello che più mi perplime e che rende i risvolti di questa vicenda sempre più inquietanti, è la rabbia che continuano ad esprimere in modo plateale. Sempre più guidati dalla voglia di giustificare il messaggio stanno procedendo con un attacco dopo l’altro, messaggi al vetriolo colmi di “non sense” ed arroganza. In sintesi stanno assumendo il comportamento di un utente chiunque, dimenticandosi del brand e del futuro del brand.
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I Social sono fatti soprattutto per ASCOLTARE
Andando leggermente più a fondo, inoltre, se da un lato l’utente ha tutti i diritti di intervenire – sia che esso sia Social Media Manager, utente normale, consumatore ecc.. – facendo valere la propria opinione, dall’altro l’azienda non sta facendo il suo lavoro sui Social, cioè non sta ASCOLTANDO. L’ascolto nell’era dei Social è fondamentale per valutare l’adeguatezza di un messaggio e serve, soprattutto, a capire quando il messaggio postato è sbagliato, fuori contesto (target), ed è utile per capire anche l’entità del danno/beneficio che esso sta portando sulla reputazione aziendale.
Emblematico è l’intento lesivo verso sé stessa di questa azienda e lo si capisce principalmente dall’assenza di empatia nei confronti del dissenso popolare, l’assoluta mancanza di autoanalisi ed autocritica della vicenda, ed anche dalla relativa incapacità di comprendere dove si è sbagliato e di rimediare. Tutto questo si tradurrà con buona probabilità nella costruzione di una pessima idea sui nuovi utenti commentatori che si ripercuoterà anche sulla qualità del prodotto offerto. Quindi BOOM! La bolla è ormai esplosa!
Sbagliando si impara, ma impareranno gli altri
La vicenda in questione, pone le basi però per un nuovo caso negativo che per forza di cose “farà scuola” per il futuro, come già avvenuto in passato. Tutto quello che sta accadendo su quella pagina è l’esatto contrario di quello che dovrebbe avvenire da qui al futuro.
Da errori grossolani di altre pagine, in passato, abbiamo appreso che la regola numero uno è:
“Se c’è una cosa che le aziende dovrebbero fare quando c’è una tragedia che scuote gli animi è mostrare solidarietà, stringersi nel dolore e cercare di non ironizzare, soprattutto spingendo in modo predominante il proprio brand”
Una regola quanto chiara e tanto semplice da realizzare, tacere è la risposta o mostrare solidarietà in modo assolutamente naturale e senza dubbie interpretazioni.
La regola numero due è:
“Ammettere l’errore, mostrare umiltà e rimediare con un semplice SCUSA!”
Vediamo come sono state applicate proficuamente nel passato.
Caso 1: Groupalia
Groupalia nel 2012 ironizzò sul terremoto dell’Emilia con l’intenzione di sdrammatizzare la situazione accendendo gli animi degli utenti sul proprio brand, con il seguente tweet,
Iniziativa discutibilissima, sbagliata, orribile, ma che nonostante questo ha avuto una conclusione più che degna e decisiva.
Dopo le prime fasi di indignazione degli utenti, seguiti anche da pesanti insulti – il modo più forte che ha un utente di mostrare il suo disappunto – l’azienda è intervenuta direttamente una sola volta e lo ha fatto con un’azione risolutiva che prevedeva le scuse pubbliche, il mea culpa per la leggerezza del messaggio (arrivato il giorno stesso del fail), ma soprattutto comunicando l’attivazione di un’iniziativa rivolta alle popolazioni terremotate che prevedeva un salvadanaio di un euro per ogni acquisto sul portale.
Caso2: Scosse VS Tweet
Terremoto dell’Emilia, 2012, ancora un caso di superficialità. Questa volta parliamo di un’azienda che è una pietra miliare della comunicazione come la Saatchi&Saatchi.
Viene lanciata una iniziativa chiamata “Scosse VS Tweet” che è un sito in cui twittando usando un hashtag avrebbe dovuto infondere coraggio ai terremotati rendendo i tweet più numerosi rispetto alle scosse di terremoto.
L’iniziativa non è stata interpretata correttamente, le popolazioni coinvolte e gli utenti hanno mostrato dissenso profondo in quanto l’iniziativa sembrava più una trovata pubblicitaria che benefica. Vi lascio un approfondimento a questo link.
Nel momento in cui il pubblico ha iniziato a maturare un sentiment negativo verso l’azione, tutto è stato fermato, il sito ha smesso di essere attivo ed è stato sostituito con un chiaro messaggio di scuse, spiegando le intenzioni dell’iniziativa e dei problemi sorti durante il suo breve periodo di attività.
Cosa accomuna le due campagne dell’Emilia a quella del ristorante vegano del brindisino?
Tutte le campagne hanno cercato di ottenere vantaggi da un evento che definiremo “sensibile” per i propri benefici, primo di tutto il “far parlare di sé” per scopi prettamente promozionali.
Cosa differenzia invece queste due campagne da quella del ristorante vegano del brindisino?
Le prime due campagne sono state create un po’ superficialmente si, ma entrambe hanno poi ammesso il limite dell’azione correggendo il tiro e mostrando il proprio scopo benefico, il ristorante vegano invece, nonostante la crisi attiva e in pieno svolgimento, ha continuato a perseverare nel suo scopo, producendo ulteriori messaggi di flame che a catena hanno creato altre reazioni.
Altra differenza è anche nella risoluzione della crisi. Mentre nei primi due casi le due aziende promotrici hanno mostrato umiltà e vicinanza ai sentimenti delle persone, hanno fatto emergere l’empatia sviluppata dopo la lettura del malcontento e non hanno attaccato direttamente l’opinione pubblica, ponendo un rimedio anche virtuoso (come la donazione), nel caso del ristorante vegano brindisino non si è ascoltato l’umore del popolo di internet, non si è cercato di porre rimedio, preferendo come reazione risposte autoritare ed ancora una volta saccenti ed onnipotenti.
Nel comunicato stampa ufficiale sul Social (troppo lungo da citare), successivo al post incriminato, si è ancora una volta polemizzato, nessuna scusa è stata prodotta, al contrario si sono creati nuovi buoni spunti di discussione, non pacifica, per attaccare un po’ tutti, a cui è seguito un secondo comunicato ancora più incisivo, in cui tuona più di ogni parola un bel “VAFFA…”.
Cosa impariamo con quest’ultimo caso del ristorante vegano?
Da questa vicenda però impariamo che la rete, se non ci sono scuse ufficiali, può far squadra e la squadra agisce nell’intaccare anche indirettamente (e non solo tramite recensioni negative come in questo caso) la reputazione aziendale, alimentando il sentiment negativo e l’effetto boomerang che si alimenta e si diffonde sempre più, anche al di fuori del canale in cui si è generato.
Il tutto poi si tradurrà con buona probabilità in una flessione dei profitto, dovuto ad un’azione che è destinata a permanere nelle menti degli utenti, delle indelebili tracce Social e delle SERP, oltre che nelle recensioni di Google.
A conti fatti, col senno di poi, è meglio una scusa sentita che un danno permanente all’immagine…
In conclusione
Quando si verificano casi di crisi, la colpa di chi è allora? Delle idee? Della incapacità di esser professionali o dal non conoscere l’ambiente ed il momento in cui si opera? Degli utenti?
Ci si nasconde dietro l’incubo dello stagista insperato o dell’imprenditore incapace di gestire i Social o dietro l’arroganza di certi imprenditori? Nessuno è colpevole, ma a tutto si può trovare rimedio, basta un po’ di buon senso e tutti possiamo tornare a vivere in armonia.
Quello che dimostra questa vicenda è che puoi essere un brand piccolissimo, ma non lo sarai mai abbastanza se ad urlare è la tua leggerezza di pensiero, di linguaggio e di intento, al di là di quanto alternativo e provocatorio tu voglia sembrare.
Ammettere l’errore, mostrare umiltà e rimediare con un semplice SCUSA!
Dal punto di vista comunicativo, è proprio la reazione del ristorante alle critiche a lasciarmi più perplesso – siamo esseri umani, e possiamo sbagliare: è spiacevole, ma inevitabile.
Quel che si può fare è ritornare sui propri passi in modo rispettoso e pacato.
Come utente, cliente, consumatore, posso comprendere e perdonare uno sbaglio – ma non la difesa passivo-aggressiva dello stesso.
È evidente che hanno reputato esser di maggiore importanza il loro pensiero sovversivo e polemico, più che la salute del loro locale, che immagino gli dia da vivere…
Scelte..
…che non pagano.