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Consumer Empowerment nei social media e il potere ai clienti: case studies

Di iniziative di coinvolgimento degli utenti in processi di creazione di output aziendale se ne sono viste in questi anni più di qualcuna però se ci facciamo un attimo caso, non sembrano comunque tante quelle aziende che hanno deciso di investire in questo approccio che effettivamente rompe con tutti gli schemi classici del passato. Dalla nascita della disciplina del marketing fino alla metà degli anni novanta del secolo scorso, eravamo ancora abituati a vedere segmenti non omogenei di consumatori dai bisogni non ben definiti e delle aziende, che forniva risposte producendo quello che gli utenti desideravano. Per la stragrande maggioranza delle persone non addette ai lavori è ancora così!

Queste attività però non erano mai esatte, anzi! Perché poi non è detto che le aziende ci azzeccassero sempre nell’offrire i beni e servizi desiderati. Infatti le classiche ricerche di mercato (indagini quali-quantitative) hanno un po’ perso il valore che avevano qualche decennio fa e proprio le più recenti indagini di neuromarketing hanno dimostrato come, noi consumatori, sottoposti a questionari, interviste telefoniche o dal vivo, siamo psicologicamente propensi a mascherare le nostre reali risposte seppur non ce ne accorgiamo (leggere Neuromarketing di M. Lindstrom).

E’ stato invece dimostrato come il coinvolgimento diretto nelle fasi di costruzione di un prodotto, di un assortimento, di una campagna di marketing o di distribuzione abbiano un ritorno dell’investimento in termini di immagini (e di vendita) sicuramente migliore in quanto stimolano il vero (e unico) legame affettivo tra la marca e consumatori. Attori che dovremmo chiamare in questo modo solo per meglio identificarli, in quanto la classificazione “aziende-consumatori” non è più esatta perché ci troviamo ormai sempre più di fronte in scenari produttivi che vedono il self production come uno dei trend in via di diffusione (pensiamo alle stampanti 3d che ti sfornano quello che vuoi).

Perché scegliere allora il consumer empowerment e perché sfruttare i social media?

Essenzialmente per 3 motivi

Coltivare dei brand ambassador

E’ un po’ come coltivare dei fans. E’ ormai risaputo che i fans di una marca sono poi anche i più propensi a parlare bene di una marca e le azioni di coinvolgimento degli utenti/consumatori nella realizzazione dell’offerta contribuiscono alla nascita (e crescita) di questi soggetti che poi ci aiuteranno (anche in modo spontaneo) in azioni di promozioni successive.

Raccolta di feedback

Le informazioni che possono essere raccolte dall’implementazione di queste politiche di co-branding sono numerose. Penso che Barilla con il suo “Il Mulino che vorrei” abbia raccolto informazioni un po’ per la ridefinizione di tutte le classiche politiche di marketing strategico, ovvero prezzo, distribuzione, comunicazione e prodotto e avrà materiale di studio su cui lavorare anche negli anni a venire.

Risparmio di costi in progettazione di inutili campagne di comunicazione

Invece di spendere milioni di euro per creare ipotetici video virali che spesso si distaccano dai sentimenti reali di un target specifico sarebbe sicuramente meno oneroso e più proficuo affidare tutto agli utenti, a quelli più attivi, ascoltandoli e coinvolgendoli in azioni mirate alla costruzione del valore.

3 campagne a cui guardare


Colgate

Nell’estate scorsa Colgate lancia la campagna “Smile” utilizzando una pagina dedicata su Facebook, attraverso la quale gli utenti venivano incoraggiati a caricare foto di se stessi sorridenti. Queste foto sono state poi trasformate in poster collage di grandi dimensioni e sono stati esposti nei supermercati e centri commerciali. WaveMetrix, società che si occupa di buzz analysis, ha estratto dati a dimostrazione di un effetto positivo della campagna sulle discussioni di acquisto dei prodotti Colgate aumentando di 2,5 volte in più la probabilità che si parli del brand Colgate. L’effetto positivo si è avuto anche sull’immagine di marca in quanto gli utenti hanno potuto identificarsi con il senso di comunità e divertimento.

Uniqlo

Oltre ad avere diversi pagine facebook territoriali, Uniqlo, retailer di abbigliamento giapponese, ha deciso di affidare agli utenti/consumatori la creazione e gestione di una pagina facebook “fanpage-mada-by-fans”, con lo scopo di promuovere la comunità di “uniqlovers” e con la pagina gestita da community managers e membri del gruppo che agiscono come evangelisti del brand.

Domino’s pizza Australia

Domino’s pizza è uno di quei brand che raccoglie case study in diversi campi, come per esempio quello della realtà aumentata. Attraverso la fanpage australiana e per mezzo di un’applicazione Facebook, hanno delegato ai fan l‘ideazione e costruzione di una pizza che sarebbe poi stata inserita nel menu ufficiale. Dai singoli ingredienti fino al nome, gli utenti hanno potuto votare e costruire un prodotto che poi sicuramente sarà venduto più degli altri. Penso questo sia uno degli esempi migliori di coinvolgimento dei consumatori, attraverso i social, dove, più che le politiche di marketing, definiscono il vero e proprio prodotto o servizio che poi andranno a consumare. E’ proprio il caso di dire che gli utenti si trasformano”da produttori a consumatori” mentre in questo caso il brand funge da piattaforma aperta di legame per l’ascolto e la raccolta di feedback.




Professionista SEO, da sedici anni, progetta strategie digitali orientate allo sviluppo di visibilità online. Come consulente SEO ha lavorato in prima persona a differenti progetti complessi in settori ad elevata competizione, costruendo da zero progetti da oltre 20 mila visitatori giornalieri.

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