Social Media Marketing

La moda del (finto) Co-branding finalizzato al buzz nei Social

Nell’era dei social si sono diffuse nuove mode. Mode spesso lanciate da qualche celebrità o da qualche big brand.
I social prima hanno avvicinato le celebrità ai fan e poi le aziende ai consumatori. Hanno permesso a tutti di interagire e sentirsi partecipi in conversazioni con soggetti che prima mai avremmo sperato di raggiungere e, per molti versi, hanno migliorato il modo di comunicare delle aziende, rendendolo più umano e sensibile all’ascolto dell’utente.

Tra le nuove mode che riguardano soprattutto le aziende, abbiamo ultimamente imparato a riconoscerne due, quella del real-time marketing, in cui diversi brand hanno bene iniziato a monitorare eventi di interesse generale per creare contenuti tematici e pubblicati in tempo reale, quasi a voler raccontare una storia alternativa e brandizzata, ma comunque legata all’evento di riferimento.
Poi c’è la moda che prevede una sorta di accostamento commerciale, solo virtuale però, tra marchi solitamente competitor o, meglio, storici rivali.
L’accostamento è fatto per simulare una pubblicità comparativa, altre volte per scherzare e prendersi in giro, ma tutte le azioni sono finalizzate al raggiungimento di un obiettivo: il buzz.
Al giorno d’oggi la totalità degli utenti utilizza i social per esprimere principalmente due stati d’animo, consenso e indignazione.

A volte ci indigniamo più se la Juve vince un altro scudetto di uno sbarco di immigrati finito in tragedia.

Fatto sta che, in alcuni casi, questi accostamenti tra marchi possono funzionare e divertire il pubblico e, a seconda dell’originalità, dare un ritorno di rafforzamento dell’immagine a uno o l’altro marchio, o ad entrambi.

Le frecciatine tra Pepsi e Coca Cola sono ormai storia del Social Web

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Ma ha sempre senso accostare due marchi, sui social, con lo scopo di creare del buzz?
A mio avviso no. Il motivo è semplice: l’accostamento dovrebbe venir fuori ad idea terminata e prodotto completato, e non prima. Solo in questo caso potremmo parlare di co-branding e non in qualche azione ideata soltanto per generare un po’ di viral nei social a favore di qualche brand.

Il caso McWhopper

Qualche giorno fa, Burger King, storico rivale di McDonald’s, presenta nei social un sito dedicato col quale propone a Mc donald’s la creazione di un panino in unione per sancire una sorta di “pace” con tanto di sito web dedicato. Il panino, nelle intenzioni di Burger King, si chiamerà Mc Whopper e verrà prodotto il giorno della Pace, il 21 Settembre.

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Mc donald’s declina gentilmente la proposta, affermando che come brand, insieme possono fare ancora qualcosa di più grosso per una causa comune e che la prossima volta, prima di ideare unilateralmente queste iniziative, è meglio fare un colpo di telefono.

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A seguito di questo evento mi è capitato di leggere una serie di indignazioni, anche di colleghi, nei confronti di Mc Donald’s, che veniva accusata di non voler partecipare alle azioni condivise con altri brand. Sulla pagina di Mc Donald’s ovviamente si sono scatenati svariati attacchi nei confronti del brand per aver rifiutato la proposta.

Tutto questo sposterà un aumento percentuale di fatturato verso Burger King? No!
Mc Donald’s ha fatto bene a rifiutare l’offerta? Si.

Se tu avessi un’azienda molto più visibile, posizionata e radicata da decenni nelle menti dei consumatori e un tuo competitor, distante comunque diversi punti percentuali da te, cercasse di sfruttare la tua visibilità per trarne un beneficio, tu saresti contento? Dubito. A meno che possa piacerti regalare clienti ai tuoi competitors.
Pensa a cosa sarebbe accaduto se Mc Donald’s avesse accettato l’offerta. Molto probabilmente il panino avrebbe venduto tantissimo, ma veniva a crearsi a mio avviso una associazione di marchio tra due rivali che dai consumatori, nel lungo termine, sarebbe potuta essere interpretata come “joint-venture tra i due rivali”.
I rivali cioè, non erano più tanto rivali e andare a mangiare il panino da uno o l’altro fornitore era pressoché indifferente.

Un bell’assist regalato a Burger King, che, inoltre, avrebbe goduto di un beneficio maggiore, ovvero quello di essere stata l’ideatrice dell’iniziativa, facendo “piegare” il suo storico rivale.
Come ha detto il CEO di Mc Donald’s nella mail di risposta, se vuoi fare co-marketing, prima chiama e pianifichiamo insieme, poi si crea qualcosa.

Altro caso: Pornhub e Parmigiano Reggiano.

Questo è un altro di quei casi recenti sempre finalizzati a creare del buzz nei social e della digital PR nei blog e siti web, che ha creato ancora indignazione.
Pornhub, marchio mondiale dell’adult online, crea un video promozionale in cui cita Parmigiano Reggiano, elogiandone la qualità e accostandolo al sito Pornhub.

Questo il video.

Quelli del Parmigiano, dal conto loro, rispondono facendo causa al sito porno, per utilizzo improprio del marchio.
Anche qui, sgomento, indignazione e parole al vento digitate nei social tutte contro Parmigiano Reggiano.
Al di là della reazione di Parmigiano Reggiano, forse un tantino esagerata, anche qui, prima di attaccare Parmigiano Reggiano, bisognerebbe chiedersi perché il consorzio italiano abbia reagito in modo così duro.

Forse per tutelare un marchio storico, con ottimo posizionamento e facilmente imitabile? O perché l’accostamento poco ortodosso e del tutto off-topic avrebbe fatto infuriare gli storici estimatori del prodotti italiano?
Consideriamo che il consumatore italiano medio si scandalizza per poco e probabilmente non avrebbe digerito questo accostamento. A dirla tutta, non credo che nessun italiano lo avrebbe notato se la pubblicità non fosse stata ripresa dai maggiori siti di informazione italiani.

C’è comunque un fatto anche qui da considerare: le azioni vanno pianificate in accordo tra le parti, altrimenti finisci per non essere autorizzato ad utilizzare un marchio registrato. Basterebbe solo questo a farti beccare una denuncia.

Conclusioni di questo post riflessivo.

C’è una cosa che non riesco a capire di questa moda di cui parlavo nel titolo del post. Il fatto che se c’è un’azienda che propone questa moda di finto co-branding ad un’altra marca e quest’ultima si rifiuta, si è tutti pronti a puntare il dito contro chi rifiuta e a gridare all’epic fail. Ormai sembra esserci epic fail per tutto. Sui social. Perché poi sulle vendite questo dato non incide minimamente, almeno non nel lungo periodo. Passato il periodo del buzz, solitamente pochi giorni, poi il tutto cessa di esistere e non resta che qualche labile traccia nel web.
Il Social Media Marketing è ormai costellato da anni di epic fail che poi non hanno impattato sulla reputazione di storici brand.

Concludendo, meglio accostare due brand con l’obiettivo di generare visibilità per uno dei due o programmare qualcosa insieme e poi presentarlo al pubblico? Io propendo per la seconda e probabilmente anche il buzz darebbe risultati migliori 😉

Professionista SEO, da sedici anni, progetta strategie digitali orientate allo sviluppo di visibilità online. Come SEO ha lavorato in prima persona a differenti progetti complessi in settori ad elevata competizione, costruendo da zero progetti da oltre 20 mila visitatori giornalieri.

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2 risposte a “La moda del (finto) Co-branding finalizzato al buzz nei Social”

  1. Marco Panichi ha detto:

    Articolo molto interessante!

    Mi chiedo se la premura di “mettersi d’accordo prima” non venga già attuata dai vari brand durante i botta-risposta ai quali assistiamo.

    Del resto ci credo poco che tutto sia affidato all’innocente creatività. Penso ad esempio ad un mio amico che aveva lavorato in una trasmissione televisiva tipo “Amici”: a tal proposito mi rivelò che i presentatori sono guidati via auricolare dagli autori in regia affinché creino determinate situazioni per aumentare l’audience e il buzzing (es: “fai piangere X”, “crea disaccordo tra X e Y”, ecc).

    Altra contro-riflessione: potremo mai noi “piccoli brand” avvalerci di tali tattiche? Sarebbe bello valutare tali strategie anche nel piccolo!

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