Social Media Marketing

Facebook diventa a pagamento: arrivano gli abbonamenti anti-pubblicità

Non potevo crederci questa mattina quando una mia amica mi ha passato il suo smartphone e mi ha chiesto di spiegarle cosa volesse Facebook.

Con nonchalance ho preso in mano il suo cellulare, pensando alle solite cavolate, ma questa volta sul suo schermo, in una pagina di accesso a una uscita, un headline recitava le seguenti parole

“Scegli come continuare ad usare Facebook”.

Non potevo crederci, pensavo che la notizia fosse solo ed ancora nell’aria, anche se dal 30 ottobre si stavano rincorrendo con sempre più insistenza le voci, ma non immaginavo che il rollout era in corso ed in test addirittura attivo su alcuni profili. Mi appresto a leggere il messaggio che essenzialmente ti metteva di fronte ad un bivio, sceglie se:

  • rinunciare per sempre alla libertà di controllo dei propri dati per fornirli alla scienza delle inserzioni;
  • pagare una tang…, scusate, una fee mensile di 12.99 € (più tasse) per proteggere la propria identità o meglio per non metterla in piazza per scopi commerciali/promozionali.

In sostanza significa che se vuoi conservare il social puro e illibato e conservare al sicuro i tuoi dati devi pagare. Alla faccia dello slogan che campeggiava sulla home per anni “Facebook è gratis e lo sarà per sempre”.

Al di là di questo: che razza di follia è questa? Pagare per preservare i propri dati e non esporli ai brand? Quale sarebbe il benefit da ottenere?

Quale beneficio del pagare un abbonamento Facebook?

Come emerso dalla discussione sul mio post Facebook, il beneficio derivante dall’utilizzare Facebook a pagamento sarebbe quello di vedere solo ed esclusivamente i post di pagine e amici, il che renderebbe il feed sicuramente pulito e interessante, focalizzato sul contenuto organico, migliorando così la soddisfazione, ma l’utente non avrebbe nulla in più, nessuna promessa di specifiche modifiche dell’algoritmo, nessuna opzione premium, niente di niente.

Facebook a pagamento

La strada non è nuova e Facebook, come sempre nota per avere idee originali, ha preso spunto da Netflix e pay tv come Discovery+ dove per contenere i costi si è reso necessario l’introduzione della pubblicità durante la visione dei programmi, ma a prezzo più alto si può richiederne la rimozione e funziona.

La visione di un film o di una serie con la pubblicità è un interruption brusca e fastidiosa, che odi sicuramente, ma su Facebook propri no.

Una inserzione non l’ho mai vista come una cosa negativa e non penso neanche che sia così fastidiosa, anzi vi dirò di più, secondo me arricchisce il canale di alcuni elementi di scoperta e di ricerca tipici della navigazione in rete. Certo il tutto sta a saper gestire correttamente il profilo per non ottenere fastidiosi contenuti provenienti dal retargeting, ma niente di così impossibile da controllare proprio grazie agli strumenti messi a disposizione da Facebook stesso come il pulsante che permette di nascondere le inserzioni non desiderate.

In più salta subito alla mente questa riflessione: Facebook non ha sempre promesso un controllo totale da parte degli utenti sui propri dati? Se io attualmente posso avere il controllo sulle mie informazioni allora posso anche nasconderle in modo che i brand non mi conoscano, non consocano le mie preferenze e rendo questi dati privati. Basterebbe questo.

Ma forse per Facebook questo non basta e quindi la rassicurazione che ogni dato in possesso di Facebook sia sicuro è vera, ma che per esser più sicuro e non commerciabile bisogna pagare, ed il costo è 12,99 euro al mese.

Che si ami o meno questa decisione, l’idea di Facebook a pagamento impone alcune riflessioni riguardanti l’evoluzione del suo funzionamento.

Ho stilato una lista di possibili risvolti.

1. L’algoritmo di facebook a pagamento

Come funzionerebbero gli algoritmi di ordinamento dei post? Posto che gli utenti decidano di pagare, il sistema come giocherebbe con la visualizzazione dei post? Una ipotesi è che si potrebbe tornare alle origini ossia al classico organico, primo post pubblicato in cima, forse continuerebbero ad esistere l’affinity e lo story bumping, magari rivisitati, o forse verrà studiato qualcosa di più originale per permettere una fruizione complessiva dei contenuti che si rinnova ad ogni nuovo scroll. Vedremo.

2. I brand e i contenuti

Occorre fare una riflessione anche sul modello di piano editoriale social che potrebbero adottare i brand per sopperire alla mancanza di un pubblico esposto alle ads. Ipotesi è che i marchi inizierebbero a postare contenuti molto commerciali per cercare di intercettare quegli utenti che hanno deciso di essere esclusi dalle inserzioni. Posso figurarmi pagine come ad esempio Amazon che, non potendo mirare al 100% dell’utenza, ma ad una percentuale inferiore, cerchino in qualche modo di essere comunque competitive e commerciali pubblicando post promozionali e pregando nell’organico.

3. I costi delle inserzioni

Gli investimenti monetari dei brand come verrebbero conteggiati? Sicuramente il pubblico di destinazione si ridurrà e quindi cambierebbe anche la Target Audience (Pubblico di Destinazione) che rappresenta un parametro che può influenzare il costo delle inserzioni. Riducendosi il pubblico, non rappresentando più il 100% degli utenti iscritti, le performance delle campagne verrebbero influenzate in negativo. Questo è un aspetto importantissimo da considerare perché, sebbene potrebbero arrivare introiti interessanti dagli abbonamenti (ma dubito), dall’altro lato questo potrebbe far storcere il naso agli inserzionisti.

Sarà curioso vedere in che modo questo percorso si evolverà anche perché per gli inserzionisti lavorare con un target più ristretto li spingerebbe ad un ulteriore sforzo per cercare di esser maggiormente competitivi, trovando forme sempre nuove di contenuto, o quantomeno originali, per distinguersi e vincere. Questo potrebbe non esser necessariamente negativo, anzi potrebbe portare ad una evoluzione del modo di fare le sponsorizzate.

Cosa ne pensate di questo nuovo passo di Facebook? A cosa lo porterà? Confrontiamoci nei commenti.

Front-end Developer e Designer. Si occupa dello sviluppo di siti web, dalla radice all'interfaccia, e nella realizzazione di contenuti che siano più efficaci per comunicare in rete: infografiche, grafiche specifiche per i Social, User Interface per siti e landing page.

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2 risposte a “Facebook diventa a pagamento: arrivano gli abbonamenti anti-pubblicità”

  1. Purtroppo tutto questo non nasce da Facebook, che avrebbe di sicuro voluto rimanere fedele al suo slogan. Stiamo parlando ormai di un secolo fa per i tempi del digitale. Nel mezzo si sono infilate le mancanze di tutele, il garante della privacy, i governi… insomma una decisione che l’azienda è stata costretta a prendere.
    Io penso che siano fasi “normali”.
    Quando si prendono vie inesplorate c’è sempre tantissima libertà di agire. Quando, invece, passa il tempo e intervengono situazioni che coinvolgono le persone, gli enti di controllo devono porre un freno e lo fanno nel modo in cui ritengono più giusto anche se non ottimale (vedi “cookie”).
    Chiediamoci chi abbia voglia di pagare solo per non avere la pubblicità?

    • Maria Pia De Marzo ha detto:

      La verità Eleonora è che Facebook è stato forse il primo a lavorare sui social nella direzione della tutela della privacy a pagamento, ma a questo punto la vera domanda è: l’utente medio conosce nel dettaglio quali tutele può ottenere pagando una somma a Facebook? Non c’è trasparenza. La scelta non è ben comprensibile alla massa e del resto il messaggio con cui si presentano per chiedere il pagamento di una somma è chiaro, ma un po’ vago, non ci sono specifiche o dettagli. Io ho visto esperti di settore chiedersi quale sia il reale scopo di questa opzione, monetizzare dopo le grandi perdite o veramente lavorare per rendere libero l’utente di gestire la propria identità? In ogni caso la privacy (almeno quella di superficie) dovrebbe esser sempre garantita, sia con le ads che senza, io veramente sono in confusione e continuo a non avere risposte.

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